Ci sono dati e dati e ci sono cloud e cloud. Salvare i dati nel cloud non è una pratica banale o da sottovalutare. È chiaro da un po’ che il mercato ha abbracciato una strategia di utilizzo distribuito delle diverse piattaforme cloud. Ciò significa considerare il cloud pubblico, privato e ibrido come repository ugualmente validi, insieme al vecchio caro on premise, ognuno per un preciso tipo di dati.

Si può dire che ogni piattaforma cloud ha un senso. Oppure che per ogni tipologia di dato c’è un cloud che lo aspetta. Il ricorso a piattaforme diverse e a Cloud Service Provider diversi, non è una moda ma una chiara necessità. I dati generati dalle applicazioni aziendali sono di diversa natura e hanno diversa importanza.

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Salvare i dati nel cloud

Ci sono i dati che devono essere sempre disponibili, quelli che possono essere archiviati e quelli di backup. Per questo si distingue tra storage primario e secondario. E ci sono quelli che devono soddisfare la compliance e devono risiedere in contenitori ad alta protezione. Per questo c’è la modalità on premise o il cloud privato.

Insomma, salvare i dati nel cloud non è una pratica da sottovalutare. Per chiari motivi di protezione e di adeguamento alla compliance e per la conservazione nei termini di legge o semplicemente per garantirne la disponibilità in tempo reale.

Da dove si comincia a salvare i dati nel cloud?

Mettiti comodo, non ce la puoi fare da solo. Tu, CIO di un’azienda di qualsiasi dimensione, hai certamente bisogno di una metodologia precisa. Di un progetto accurato che solo un partner IT specializzato può fornirti. Di una soluzione software, infine, che ti supporti nella distribuzione e nella gestione dei diversi repository. Una soluzione di data management di ultima generazione, per esempio come quella di Cohesity, vero numero uno del settore.

La metodologia di un partner IT qualificato si sviluppa secondo un modello ben preciso, vediamo come in cinque passi.

  1. Assessment dell’infrastruttura IT. Dove e come vengono generati i dati in azienda? Da Office 365 al classico gestionale, dal software per la Supply Chain al CRM: prima di tutto è necessario individuare le fonti dei dati e disegnare un flusso che preveda anche l’hardware, lo storage e l’infrastruttura di rete coinvolti.
  2. Definire la tipologia del dato. Di tutti i set di dati è fondamentale definire una classificazione basata sulle funzionalità. I dati generati da Office 365, per esempio, devono essere disponibili sempre e da ogni device in ogni luogo. Banalmente non saranno archiviati in uno storage secondario.
  3. Definire la tipologia di repository. Una volta definite le specifiche funzionalità dei singoli set di dati, si procede alla scelta dei repository. I secondary storage per i dati da archiviare come i dossier amministrativi e finanziari di anni fa o per le attività di backup e disaster recovery. Il cloud privato o l’on premise per dati ad alta sensibilità. Dati che non possono e non devono essere facilmente accessibili.
  4. Scegliere il Cloud Service Provider. Sempre con il supporto di un partner IT qualificato, inoltre, si dovrà procedere alla scelta del fornitore di servizi cloud più opportuno. Meglio ipotizzare una mappa variegata e, soprattutto, eseguire un’attenta analisi delle condizioni contrattuali.
  5. Scegliere l’orchestratore. Infine, definita la nuova tipologia e scelti i cloud provider, serve un’unica piattaforma di gestione dei dati. Cohesity è un’azienda specializzata in Data Management e il suo portfolio è tutto rivolto a questo ambito. Un’unica soluzione di gestione dei dati permetterà di governarli in tempo reale da un’unica console, indipendentemente dal repository scelto.

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7 aprile ore 11

organizzato da HPE, Cohesity e ACS Data Systems all’interno di #HPEInnoLab.

Salvare i dati nel cloud: 5 modi per un corretto approccio preliminare ultima modifica: 2020-04-01T17:28:50+02:00 da Valerio Mariani

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