Quantum computing, il CERN nuovo Hub di IBM: l’informatica del futuro per scoprire i misteri dell’universo.
Il CERN (European Organization of Nuclear Research) è ufficialmente un Hub ufficiale del IBM Quantum Network, l’ecosistema dedicato alle tecnologie computazionali di prossima generazione, basate sui principi della meccanica quantistica per superare nettamente i limiti dell’informatica tradizionale. Il nuovo accordo tra IBM e CERN non giunge a ciel sereno, consolidando piuttosto una collaborazione che vedeva una partnership attiva dal 2018.
Vediamo quali sono i presupposti che hanno spinto il CERN ad affidarsi alle tecnologie quantistiche di IBM e quali sono le prospettive che il quantum computing può offrire a medio e a lungo termine sia al mondo della ricerca che nelle applicazioni industriali destinate ad avere un riscontro concreto sul mercato.
Dal Bosone di Higgs alla scoperta dell’universo: i numeri impressionanti della ricerca del CERN
Nei laboratori del CERN vengono svolti moltissimi programmi di ricerca per approfondire la conoscenza del mondo a livello sub atomico. Grazie a strutture uniche come il Large Hadron Collider, che si sviluppa lungo una circonferenza di 27 km al confine tra la Svizzera e la Francia, gli scienziati del CERN riescono ad accelerare le particelle ad una velocità prossima a quella della luce, valutando gli impatti delle collisioni che si generano, nell’ordine di circa un miliardo al secondo.
Tali sistemi sviluppano una quantità impressionante di dati, circa un Petabyte al secondo. Per archiviare ed analizzare un simile volume, attualmente il CERN ha definito il Worldwide LHC Computing Grid, che consiste in circa 170 data center in tutto il mondo, per un totale di circa un milione di core tradizionali. Persino i supercomputer più potenti faticano a stare dietro alle richieste computazionali del CERN, che ha quindi attivato dei canali di paralleli volti ad indagare al meglio circa le potenzialità dell’informatica quantistica, la cui natura fisica e prestazionale sarebbe altamente coerente con l’oggetto di indagine delle ricerche della celebre istituzione elvetica.
Al di là delle risorse necessarie, di fronte a fenomeni esponenzialmente complessi da computare, i sistemi tradizionali, basati sul calcolo binario, tendono ad andare in crisi e spesso non riescono nemmeno a portare a termine i carichi di lavoro, oppure si renderebbero necessari tempi fuori logica, come mesi, se non addirittura anni di calcolo. In tale contesto gli elaboratori quantistici sono invece in grado di esaltare la propria natura, grazie alla straordinaria capacità di informazioni che i qubit sono in grado di conservare, generando un divario impressionante a livello prestazionale proprio laddove i problemi da risolvere diventano sempre più complessi.
La fisica quantistica si basa su presupposto totalmente differenti rispetto alla fisica tradizionale, e di conseguenza anche la sua applicazione informatica. Serve dunque approcciare i problemi secondo punti di vista e logiche completamente differenti. Una scoperta epocale come il bosone di Higgs ha contributo a completare lo studio del modello standard della fisica, ma a livello descrittivo, secondo le stime del CERN, le attuali conoscenze sarebbero utili a spiegare non più del 5% della complessità dell’universo. Il restante 95% è attualmente ignoto e comprende molti fenomeni fondamentali, tra cui l’antimateria e il funzionamento della gravità.
La missione del CERN è dunque ben lungi dall’essere conclusa e per muovere il prossimo passo, la sua ricerca dovrà crescere insieme alla concretizzazione del potenziale dell’informatica quantistica. Ne è assolutamente consapevole Alberto Di Meglio, direttore del CERN Openlab: “Il quantum computing può avere un ruolo chiave nell’aiutare la nostra conoscenza oltre il modello standard della fisica. Ciò vuol dire indagare sulle questioni aperte, come la materia oscura, l’energia oscura e la relazione tra la gravità e la meccanica quantistica. Il quantum computing potrebbe non darci tutte le risposte che cerchiamo, ma se ci aiuta a vedere l’universo in modo più chiaro, potremo formulare delle domande migliori circa il suo funzionamento”.
Gli fa eco Zaira Nazario, quantum technical lead di IBM, nell’enfatizzare l’analogia tra gli elementi dell’informatica e della fisica quantistica: “I qubit vengono creati catturando e controllando le particelle più piccole dell’universo, nel nostro caso, coppie di elettroni. Usiamo le particelle minuscole dell’universo che conosciamo per aiutarci a trovare le altre particelle minuscole dell’universo, che non conosciamo”.
In attesa di supportare la scoperta dell’universo, l’impegno di IBM nel quantum computing prosegue senza sosta su moltissimi fronti, con l’obiettivo di creare un network capace di porre solide basi ad una disciplina destinata a cambiare per sempre le sorti dell’informatica.
Il quantum computing secondo IBM, un network in continua crescita
Se il quantum computing è una disciplina ancora totalmente in divenire, IBM Quantum Network è una realtà che cresce giorno dopo giorno, con numeri assolutamente interessanti, tanto in senso assoluto quando commisurato al fenomeno in questione, se consideriamo come l’informatica quantistica al momento sia una realtà confinata all’interno dei più avanzati Quantum Lab al mondo.
Attualmente la rete dell’ecosistema quantistico di Big Blue può contare su 300mila utenti registrati, 700 miliardi di circuiti quantistici eseguiti, 34 quantum computer, circa 140 tra partner e clienti, oltre 30 progetti attivi su larga scala e una letteratura originale di oltre 400 paper scientifici. IBM mette a disposizione della comunità scientifica i propri quantum computer attraverso un servizio in cloud: IBM Quantum Services.
IBM Quantum Services condivide pubblicamente 20 dei quantum computer che compongono quello che IBM curiosamente definisce l’aviario, per via del fatto che i processori quantici sono tutti caratterizzati dal nome di un uccello: ad oggi sono disponibili Canary, Falcon e Hummingbird. Ben presto arriveranno Eagle, Osprey e soprattutto Condor, il più atteso di tutti, in quanto secondo le la roadmap prospettata da IBM dovrebbe garantire 1.121 qubit su un unico Quantum Computer entro il 2023: se la promessa verrà mantenuta, si tratterà di un vero e proprio salto generazionale, che dovrebbe innescare la rapida ascesa verso scalabilità senza precedenti nei sistemi esclusivamente dedicati all’informatica quantistica.
Il pannello di controllo di IBM Quantum Services sintetizza i 20 computer quantici di IBM dedicati ai servizi accessibili in cloud (credit: IBM Quantum)
Una nuova generazione di programmatori software: Qiskit e un futuro all’insegna della creatività
La missione di IBM nel porre le basi per quella che possiamo sin d’ora definire la prossima generazione dell’informatica risulta evidente nell’investimento su Qiskit, linguaggio di programmazione basato su Python specifico per applicazioni quantum computing, e sui programmi di formazione per avvicinare nuovi sviluppatori al software in grado di sfruttarne davvero i logiche, principi e potenzialità.
Tornando ai laboratori del CERN, lo stesso Alberto Di Meglio fa notare come: “Al momento non è semplice trovare, a livello internazionale, studenti con un curriculum di studi adatto a svolgere un dottorato su discipline quantistiche presso i nostri laboratori. Negli ultimi anni abbiamo riservato dai sei agli otto posti. Inizialmente temevamo fossero pochi, ma abbiamo avuto persino difficoltà a coprirli, dal momento che le università non hanno ancora dei piani di studi specifici sul quantum computing. Al momento non ci sono molti neolaureati che possono vantare una tesi su questi argomenti, ci aspettiamo di trovarne di più nei prossimi anni”.
Il fatto che le università arrivino spesso in ritardo nel dare una risposta formativa alle richieste del mercato non costituisce di certo una novità, non soltanto per quanto concerne il panorama italiano. All’attuale lacuna dell’offerta istituzionale non corrisponde tuttavia uno scarso interesse generale nei confronti del quantum computing. Anzi, l’interesse per una disciplina emergente è più che mai evidente e lo testimoniano i numeri della Qiskit Global Summer School, che nell’edizione virtuale del 2020 ha superato ogni più rosea previsione da parte di IBM, con migliaia di utenti registrati in tutto il mondo.
Il successo di tale iniziativa didattica è stato confermato anche nell’edizione 2021 della Qiskit Global Summer School, svoltasi dal 12 al 23 luglio con un programma molto intenso, dedicato nello specifico al Quantum Machine Learning. Un’opportunità a dir poco unica nel suo genere, considerando che le 20 lezioni, i 5 workshop, la costante mentorship e le sessioni Q&A che si sono svolte nelle due settimane della summer school sono state offerte da IBM in forma assolutamente gratuita, senza che fossero necessari particolari prerequisiti, al di là di una formazione basilare in ambito informatico.
La sensazione è quella di investire in qualcosa che non c’è ancora, ma che nel medio periodo potrà ripagare ampiamente degli sforzi fatti per imparare nuove logiche, ancor prima che nuove tecniche di programmazione. Secondo Federico Mattei (IBM) nell’informatica stiamo rivivendo giorni simili agli esordi dell’aeronautica, ai primi del Novecento: “Gli aerei non erano ancora disponibili sul mercato, ma i primi velivoli attiravano investimenti ed iniziavano a formarsi piloti, ingegneri progettisti, costruttori di aeroporti e tutte le figure professionali che di li a breve avrebbero portato a volare nei cieli di tutto il mondo. Oggi il computing si ritrova in una condizione se vogliamo analoga, in cui è già evidente un’esigenza di competenze molto ampia, anche se il fenomeno non è ancora direttamente presente sul mercato”.
Se le tecnologie e i linguaggi di programmazione dell’informatica quantistica saranno resi il più possibile user friendly, al punto da formare sviluppatori digiuni in fatto di fisica quantistica, sarà fondamentale un approccio nuovo, sradicato dai presupposti dell’informatica tradizionale, per dare una risposta a problemi differenti rispetto a quelli tradizionali.
Non avrebbe alcun senso utilizzare un computer quantistico per svolgere operazioni che abitualmente vengono svolte da un computer classico. Si tratterebbe di uno sforzo assolutamente ingiustificato, dal momento che le operazioni fondamentali continueranno ad essere svolte dai computer classici, destinati ad affiancare quelli quantistici, nei cui presupposti non c’è assolutamente quello di costituire un rimpiazzo agli attuali elaboratori.
I computer classici continueranno ad essere indispensabili addirittura per consentire il funzionamento dei computer quantistici, gestendo ad esempio la parte elettronica che interagisce con il criostato, per generare la variazione di stato delle coppie di elettroni da cui si innesca il processo computazionale.
Schema di funzionamento di un computer quantistico di IBM (credit: IBM Quantum)
Oggi chiunque può registrarsi e accedere in forma gratuita alla piattaforma cloud di IBM Quantum, dove sono disponibili vari tool per sperimentare le applicazioni quantiche. Nella rapida ricognizione svolta, ci ha colpito in particolare il IBM Quantum Composer, una semplice interfaccia visuale che consente di costruire graficamente circuiti quantistici in ambiente no code, con una serie di preset che agevolano in maniera intuitiva la comprensione dei principi fondamentali.
Grazie ai tool di IBM Quantum Services gli sviluppatori possono quindi creare circuiti e algoritmi quantistici, per eseguirli sia sui veri e propri quantum computer, che sui simulatori quantistici operanti su computer classici.
Tra quantum advantage e applicazioni commerciali: un’aspettiva a medio termine
Se il mondo della ricerca scientifica e della ricerca e sviluppo, come conferma l’impegno del CERN, degli atenei e delle aziende coinvolte come Hub e partner ufficiali, sta entrando con curiosità e convinzione nel mondo del quantum computing, lo stesso non si può dire per quanto concerne le applicazioni industriali vere e proprie.
Le prime applicazioni del quantum computing in ambito enterprise sono nel machine learning, in ambito fintech e nella simulazione di sistemi utili a supportare un’ampia varietà di scienze applicate (chimica, fisica, biologia, ecc.). Secondo Ivano Tavernelli (IBM Zurich): “I limiti dovuti al rumore e alla decoerenza quantistica si stanno progressivamente risolvendo. Abbiamo ricerche che portano la stabilità dai microsecondi all’ordine dei millisecondi, il che consente di fare già moltissime operazioni, ma stiamo sempre parlando di sistemi basati su qubit fisici. Del tutto differente sarà l’impiego del qubit logico, che ci consentirà la correzione dell’errore quantistico”.
Tale condizioni dovrebbe rappresentare il punto di svolta tanto atteso, e di conseguenza la diffusione dei primi servizi per clienti commerciali: “Possiamo tracciare una stima di tempi – prosegue Tavernelli – sulla base di una roadmap che prevedere per il 2023 i primi processori in grado di superare i 1.000 qubit fisici. Considerando che per ottenere un qubit logico servono almeno 100-150 qubit fisici, a partire dal 2023 avremo i numeri necessari per disporre di un adeguato numero di qubit logici. Per quanto riguarda una diffusione effettiva credo sia qualcosa che ci interesserà entro i prossimi cinque anni”.
Lo sviluppo dell’hardware quantistico dovrebbe inoltre aprire la via al Quantum Link: “Una volta che disporremo dei processori a 1000 qubit – spiega ancora Tavernelli – non sarà soltanto una corsa ad avere più qubit sui singoli processori, ma di collegare vari processori da 1000 qubit, cercando di mantenere il più possibile l’informazione quantistica inalterata. Questo approccio può consentire di rendere scalabile la computazione quantistica in maniera molto più rapida rispetto alla caccia al qubit in più”.
La roadmap ipotizzata da IBM Quantum per lo sviluppo dell’intero ecosistema legato al quantum computing (credit: IBM Quantum)
Tuttavia, il raggiungimento del cosiddetto Quantum Advantage, la condizione in cui il calcolo quantistico supera fattivamente quello classico, dovrebbe arrivare in tempi relativamente più brevi, a confermarlo è lo stesso Tavernelli: “Non bisogna confondere le applicazioni quantistiche con il quantum advantage. Non è ad esempio necessario attendere i qubit logici per avere dei sistemi quantistici in grado di risultare indubbiamente più performanti rispetto a quelli classici, soprattutto se ci concentriamo nello specifico su certe applicazioni. Il caso evidente è dato dal quantum machine learning. Mi sento pertanto di dire che il raggiungimento del quantum advantage, almeno parzialmente, arriverà prima di altre condizioni”.
La sfida di IBM al quantum computing si gioca dunque su vari fronti, che vanno dalla ricerca sui materiali per rendere più performanti i processori e sistemi di raffreddamento e isolamento dei computer quantistici, fino ai software in grado di consentire ad una nuova generazione di sviluppatori di scrivere applicazioni pensate in maniera nuova, per risolvere problemi finora al di fuori della portata dell’informatica classica. “Think” è del resto lo slogan storico di IBM, e proprio dall’evoluzione del pensiero deriverà la capacità critica di sfruttare in maniera sempre più efficaci i sistemi di elaborazione quantistica.
Come suggerisce ancora Alberto Di Meglio, anche per quanto riguarda le applicazioni industriali è difficile attendersi un passaggio radicale: “Il segmento industriale ha sicuramente esigenze differenti rispetto alla ricerca scientifica, ma ritengo che in questo momento il computer quantistico vada visto come un acceleratore per certe operazioni, nel contesto in cui la maggioranza del lavoro viene svolto dai computer classici”. Il quantum computing si presenta ai blocchi di partenza come una rivoluzione paziente, un universo computazionale tutto ancora tutto da scoprire, così come quell’universo reale che il CERN si propone di indagare sempre più a fondo.