Big tech crisi: azienda per azienda l’analisi di tutti i tagli avviati, gli impatti e una prima valutazione dicosa c’è dietro l’ondata di licenziamenti
Per molti dipendenti di Amazon il 2023 è iniziato all’insegna della notizia relativa al loro licenziamento. Ben 18mila persone sono state avvisate del sollevamento dell’incarico che ricoprivano, a conferma di un periodo che spazia tra la crisi e la transizione di un settore tradizionalmente florido come quello delle vendite online nel comparto tecnologico.
Amazon non è tuttavia l’unica grande holding IT ad aver messo nero su bianco una contrazione della propria forza lavoro per ridurre i costi. Microsoft, Google e molti altri giganti del tech, pur con numeri e implicazioni differenti, hanno scelto la stessa strada.
La sensazione pratica è che, nel giro di soli 12 mesi, ormai esaurita la spinta pandemica, gli scenari di mercato siano profondamente cambiati, e dal fenomeno della great resignation, che vedeva la prevalenza decisionale del dipendente, i giochi di forza siano in buona parte stati ribaltati, per fare di necessità virtù nel grande circo della speculazione che domina il mercato IT.
Big tech crisi: Amazon ha avviato un taglio di 18mila posti di lavoro
Come accennato in sede di premessa, Amazon.com Inc., la holding che fa capo all’immensa creatura imprenditoriale forgiata da Jeff Bezos, ha deciso il licenziamento di oltre 18mila dipendenti. Si tratta di un episodio senza precedenti, per una realtà che ci aveva abituati a numeri occupazionali in continua crescita, per far fronte ad un business che finora aveva conosciuto ben poche battute di arresto.
È storia recente il comunicato ufficiale del 4 gennaio, con cui l’amministrazione delegato di Amazon, Andy Jassy, ha illustrato i dettagli del piano di licenziamenti, che nelle previsioni iniziali avrebbero dovuto coinvolgere “solo” 10mila dipendenti. Una cifra che nella sua definizione è quasi raddoppiata, coinvolgendo soprattutto due settori: la divisione retail (es. Amazon Fresh, Amazon Go) e la divisione HR.
I numeri in gioco rappresentano circa il 6% della forza lavoro in capo ad Amazon al termine del 2022, per un totale di circa 300mila persone, che a partire dal 18 gennaio si ritrovano nella condizione di doversi cercare un’altra occupazione. Al momento i tagli riguardano in gran prevalenza il mercato statunitense, ma non si esclude che tali provvedimenti possano interessare anche il contesto italiano, dove attualmente Amazon vanta circa 17mila dipendenti. Dal 2010 ad oggi Amazon ha investito in Italia circa 12,6 miliardi di euro.
Big Tech crisi: Google e il via al licenziamento di 12mila dipendenti negli USA
Secondo una nota ufficiale dell’AD di Alphabet, Sundar Pichai, la holding che comprende tra gli altri brand anche Google ha avviato un piano di licenziamento che coinvolgerà ben 12mila persone, l’equivalente del 6% della forza lavoro. Tale provvedimento, secondo le istruzioni dell’azienda, sarebbe la naturale conseguenza di una razionalizzazione dei costi resa necessaria dallo scenario di incertezza economica e di alcuni investimenti che non avrebbero reso secondo le aspettative.
Nella nota pubblicata sul blog interno The Keyword, Sundar Pichai ha esplicitamente ammesso che negli ultimi anni l’azienda aveva aumentato molto rapidamente l’organico per far fronte ad una situazione economica molto differente rispetto alla recessione che stiamo vivendo in questi mesi e che il dietrofront sarebbe di fatto inevitabile.
I primi provvedimenti interesseranno la realtà americana, per procedere verso piani di licenziamento nelle altre nazioni, che il gruppo dovrà articolare per far fronte alle normative locali sul lavoro. Ricordiamo che soltanto a Milano Google vanta nei propri uffici oltre 400 dipendenti.
Come nel caso di Amazon, anche Google prevede ingenti tagli nelle divisioni delle risorse umane, a causa dello stop delle assunzioni. Sarebbero inoltre coinvolti anche alcune divisioni di ricerca e sviluppo dei prodotti, relativi alle company che hanno rilevato numeri non in linea con le previsioni e non vengono identificate quali strategiche al punto da essere supportate anche in una condizione di bilancio negativo.
Google ha assicurato che il personale in esubero potrà godere di una buonuscita che comprende lo stipendio completo per i due mesi di preavviso, una liquidazione pari a 16 settimane a cui vanno aggiunge due settimane per ogni anno di anzianità maturato nelle company del gruppo, oltre alla compensazione dei bonus e delle vacanze residue. A questi benefit, che corrispondono in buona parte al soddisfacimento delle norme sul lavoro, l’azienda si sarebbe impegnata a garantire, per quanto riguarda gli Stati Uniti, 6 mesi di assicurazione sanitaria e il finanziamento di un programma finalizzato alla ricerca di una nuova occupazione per il personale in esubero.
I tagli in oggetto non riguardano soltanto Google, ma diverse company del gruppo Alphabet, tra cui Verily, Intrinsic, Fiber, Wing, X e, pur in via molto marginale, DeepMind, il noto AI lab del gruppo, finora tra i più tutelati in assoluto, nonostante i pesanti passivi legati ad un esercizio in gran parte basato sulla ricerca e sviluppo di soluzioni di deep learning ad oggi difficilmente monetizzabili.
Big Tech crisi: Microsoft e il calo verticale del mercato PC
Sull’onda delle decisioni di Amazon e Google si posiziona anche un altro gigante del tech: Microsoft, che ha annunciato il taglio di circa 10mila posti di lavoro, pari al 5% della potenza occupazionale della holding che fa riferimento al CEO Satya Nadella.
La notizia rientra in una complessa manovra di razionalizzazione degli asset che consentirebbe al gruppo di risparmiare circa 1,2 miliardi di dollari, in quanto andrebbe a rendere più sostenibile l’impatto economico anche per quanto concerne le sedi, dismettendo molte posizioni in affitto, sfruttando nel migliore dei modi le modalità di lavoro ibrido che le moderne tecnologie consentono di implementare in maniera massiccia.
Si tratta di considerazioni che assumono una particolare rilevanza soprattutto quando si tratta di aziende multinazionali come Microsoft, che possono contare sull’operato di migliaia di strutture dislocate su tutto il pianeta.
Alla base della contrazione in oggetto vi sarebbe soprattutto la generale crisi del mercato PC, che dopo il boom che ha seguito la pandemia si sta ricollocando entro i valori noti fino all’inizio del 2020. In altri termini, i tempi in cui trovare una scheda video sul mercato valeva quanto gridare al miracolo sono ormai lontani e gli sforzi occupazionali effettuati negli ultimi due anni per sostenere tali incrementi ad oggi non hanno più alcuna ragione d’essere.
La robusta inversione di tendenza del mercato sta pertanto costringendo quasi tutti i brand IT ad opportune quanto sofferte azioni di razionalizzazione, che finiscono per riguardare anche le risorse umane delle aziende.
Big tech crisi, lo scoppio della “tech bubble” e la cessione generale del mercato IT
Amazon, Google e Microsoft non sono gli unici brand del tech ad aver annunciato importanti tagli di personale. Dobbiamo infatti ricordare come Meta, la holding di Mark Zuckerberg, che oltre al brand VR comprende tra gli altri i social Facebook, Whatsapp e Instagram, abbia annunciato la rinuncia globale a circa 10mila dipendenti, con strascichi che interessano anche la divisione italiana, dove dallo scorso mese di novembre è in atto una trattativa tra l’azienda e le parti sindacali, che avrebbe limitato gli esuberi e 12 unità, alle quali dovrebbero essere riconosciute una serie di benefit, utili a rendere meno traumatico il loro riposizionamento sul fronte occupazionale, generando le condizioni utili ad una uscita volontaria.
La telenovela Twitter, relativa all’infinità manovra di acquisizione intentata da Elon Musk, ha generato profondi scossoni sul fronte occupazionale, causando migliaia di posizioni in esubero, in gran parte riassorbite all’interno della nuova organizzazione. Ad oggi gli effetti esuberi sarebbero comunque almeno 4mila, ma i provvedimenti non riguardano la realtà italiana, dove Twitter non è più presente in maniera diretta dal 2016.
Spotify, il brand svedese che da diversi anni è sinonimo di streaming di contenuti musicali, ha annunciato il taglio di circa 600 dipendenti, pari al 6% della forza lavoro. Al momento la notizia non dovrebbe riguardare l’Italia, dal momento che Spotify ha da poco aperto una sede a Milano, attorno a cui gravitano circa 100 dipendenti, in buona parte in regime di smart working, per garantire l’operatività nella regione EMEA.
Nel contesto di generale recessione che sta interessando il mercato tech rientra pienamente anche il comparto IT, dove molte realtà sono impegnate in complesse manovre di razionalizzazione. Tra queste non ha mancato di fare notizia SAP, che ha appena annunciato il taglio di ben 3mila persone, una quota pari a circa il 2,5% della forza lavoro. La notizia ha fatto prontamente eco nei mercati finanziari e dovrebbe consentire al colosso tedesco di risparmiare circa 350 milioni di euro all’anno nei costi di gestione.
Il ridimensionamento nelle risorse umane non sarebbe l’unico provvedimento scelto da SAP per far fronte ad un bilancio che parla di una contrazione dell’utile del 77% tra il quarto trimestre 2022 e lo stesso periodo nell’esercizio dell’anno precedente, pur a fronte di un fatturato in costante aumento (+6% a livello globale). Il CEO Christian Klein ha infatti annunciato che SAP sta valutando la cessione di alcune company negli Stati Uniti, come Qualtrics, un brand che si occupa nello specifico di ricerche di mercato. La notizia dovrebbe assumere un particolare impatto a partire dal 2024.
Tra i big tech in odore di tagli e ridimensionamento al momento sfuggirebbe pertanto solo Apple, ma gli analisti non escludono che anche il colosso di Cupertino possa annunciare decisioni importanti su questo fronte.
Secondo le stime riportate da Layoff tra il 2022 e il 2023 il settore tecnologico, a livello globale, avrebbe già perso oltre 227mila posti di lavoro, un trend purtroppo destinato ad aumentare nel corso dei prossimi mesi.