Chip Act in Italia: vicino l’accordo con Intel. Tutti i dettagli sull’accordo epocale per portare in Italia una nuova megafactory di Intel.
Prima di uscire definitivamente di scena, in previsione delle elezioni previste per il prossimo 25 settembre, il Governo Draghi ha posto tra i propri obiettivi la chiusura di un accordo epocale per portare in Italia una nuova megafactory di Intel, per spingere il nostro paese nella direzione di essere meno dipendente dalla produzione extra UE.
Interrogate dall’agenzia Reuters, entrambe le parti in causa hanno preferito non rilasciare commenti, il che equivale di fatto ad una non smentita e soprattutto alla possibile volontà di evitare distrazione anche in funzioni di tempi decisamente stringenti, che non abbisognano di possibili ritardi burocratici.
Il variare dell’esecutivo italiano potrebbe infatti coincidere con lungaggini o deviazioni strategiche, finendo per dare luogo ad uno stand-by o, nella peggiore delle ipotesi, all’archiviazione di un’iniziativa in cui l’attuale Governo italiano ha dimostrato di credere molto, anche in funzione di sfruttare le opportunità concesse dal European Chip Act.
L’accordo tra l’Italia e Intel arriverebbe a conclusione di una trattativa durata diversi mesi e sarebbe confermato da diversi stakeholder, a cominciare delle possibili Regioni dove potrebbe trovare luogo il nuovo stabilimento di Intel, nodo focale di un impegno economico stimato nell’ordine di almeno 5 miliardi di euro.
Intel in Italia, un’opportunità del European Chip Act
Secondo le prime indicazioni, emerse nei mesi scorsi, Intel starebbe pianificando un massiccio investimento per aumentare la propria presenza in Europa. L’operazione rientra nell’ambito di una strategia volta ad aumentare la disponibilità globale di semiconduttori, per superare con successo l’annoso problema del chip shortage, di cui abbiamo ampiamente avuto modo di approfondire già nel 2019, ancor prima di quella pandemia globale che ha fatto precipitare la situazione in piena emergenza. Come vedremo, i nuovi impianti di produzione hanno inoltre la finalità strategica di recepire linee in grado di produrre chip basati su nuove tecnologie.
In termini di impegno economico, la manovra europea di Intel dovrebbe aggirarsi attorno ai 95 miliardi di dollari entro il 2030 e verrebbe in parte finanziata dai fondi messi a disposizione dal European Chip Act e dalle eventuali integrazioni che i singoli paesi membri dell’Unione vorranno far intervenire.
L’iniziativa della Commissione europea prevede infatti investimenti per 43 miliardi di euro entro il 2030, ai fini di favorire l’insediamento di nuove realtà per la ricerca e la produzione di semiconduttori all’interno dello spazio economico europeo.
Le somme a disposizione derivano da 30 miliardi stanziati da Next Generation Europe, Horizon e dai budget previsti dai singoli paesi membri che intendono diventare parte attiva dell’opportunità. A questa somma, nel corso del 2022, la Commissione europea ha integrato ulteriori 13 miliardi di euro e non si esclude che tale importo possa essere ulteriormente sostenuto attraverso future iniziative, soprattutto se le prime fasi dovessero rivelarsi promettenti in termini di risultati.
Di comune accordo con i produttori che accetteranno di godere di questo sostegno, l’European Chip Act stabilisce una serie di condizioni mirate prevalentemente a favorire l’occupazione nel vecchio continente e a destinare almeno una quota parte della produzione al soddisfacimento della domanda di chip proveniente dalle aziende europee.
A livello di strategie industriali, la misura è stata prevista per sostenere in primo luogo la filiera dell’automotive, che più di ogni altra ha sofferto in tempi recenti le carenze di semiconduttori, dal momento che la scarsa rilevanza della produzione europea ha messo in luce tutte le fragilità e la totale assenza di resilienza di un sistema speculativamente basato sulla totale delocalizzazione verso l’Asia. I continui dubbi sulla disponibilità e i tempi di attesa, che per alcuni componenti hanno superato i sette mesi, hanno messo in ginocchio la produttività dell’intero settore auto europeo, colpendo duramente anche i tre colossi tedeschi.
Chip Act in Italia: non solo Intel, nel mirino anche TMSC
Sulla base dell’iniziativa europea, il nostro Governo, durante il periodo della presidenza di Mario Draghi, ha deciso di sfruttare le opportunità del Chip Act, promettendo ad Intel di coprire il 40% del suo investimento sul territorio italiano, che dovrebbe prevedere impianti per il packaging e l’assemblaggio dei processori. I dettagli economici della proposta non sono tuttavia al momento noti e provengono in gran parte da indiscrezioni, come quelle raccolte dall’agenzia di stampa Reuters.
In attesa di conoscere l’intera progettualità, parte dell’iniziativa del Governo rientra comunque negli interventi previsti dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), che recepisce in Italia le disposizioni del Next Generation Europe, in cui è appunto contestualizzato l’European Chip Act.
L’accordo con Intel non sarebbe inoltre una mosca bianca, dal momento che il Governo italiano, oltre all’intenzione di rendere esecutivo l’accordo con la multinazionale diretta da Pat Gelsinger, avrebbe avviato promettenti trattative con altri produttori di chip di livello internazionale, a partire dal gigante taiwanese TMSC.
Tra gli altri possibili chipmaker che potrebbero essere interessati ad investire in nuovi stabilimenti produttivi in Italia ritroviamo inoltre MEMC Electronics Materiale (Taiwan), STMicroelectronics (Francia-Italia) e Israeli Tower Semiconductor (Isreale), peraltro di recente acquisita proprio da Intel. Per favorire queste iniziative il Governo Draghi avrebbe nuovamente previsto una cifra tra i 4 e i 5 miliardi di euro.
In Europa anche altri paesi hanno iniziato a muoversi e lo stanno facendo con decisione, ragion per cui l’Italia non può permettersi di rimanere ancora una volta indietro rispetto allo scenario continentale. La stessa Intel sarebbe coinvolta anche in altre situazioni, tra cui lo stabilimento che dovrebbe avere luogo presso Magdeburg in Germania, mentre STMicroelectronics ha annunciato una partnership con l’americana GlobalFoundries per realizzare una megafactory da 5,7 miliardi di dollari in Francia.
Gli obiettivi del Governo e la possibile sede della factory di Intel in Italia
Il possibile accordo con Intel rientra nell’ambito delle iniziative che il Governo italiano intende promuovere per sostenere “la ricerca e sviluppo della tecnologia sui microprocessori e gli investimenti nelle nuove applicazioni industriali delle tecnologie innovative”, anche facendo leva sulle missioni previste dal PNRR.
L’obiettivo si pone quindi in linea di continuità con i presupposti generali dell’European Chip Act, nella direzione di favorire il recupero di grandi aree industriali dismesse. Tra le possibili sedi sarebbero rimaste in lista il Piemonte e il Veneto, mentre hanno perso quota le candidature di Lombardia, Sicilia e Puglia.
La proposta piemontese appare curiosa, dal momento che sono state escluse le soluzioni su Novara e Vercelli inizialmente indicate dalla Regione Piemonte quali aree compatibili per l’intervento. Negli ultimi giorni avrebbe infatti preso quota l’ipotesi dell’ex area ENI tra Volpiano, Settimo Torinese e Leinì, nella prima cintura nord di Torino.
L’area opzionata avrebbe infatti tutti i requisiti per soddisfare l’ingente impegno in termini logistici di una megafactory come quella che Intel prevede di insediare in Italia. Oltre alla disponibilità di superfici, il sito non prevederebbe particolari azioni di bonifica ed ENI sarebbe disposta a cederla, avendo del tutto dismesso la sua funzione originale.
Il sito è inoltre collocato in prossimità delle autostrade Torino-Milano e Torino-Aosta, e dispone già di almeno tre ingressi che servono diverse zone industriali dell’area nord di Torino, dove si sono recentemente stabiliti diversi hub logistici, tra cui figura uno stabilimento di Amazon.
La proposta piemontese, già discussa a suo tempo con il MISE, consentirebbe di dare vita ad almeno 1500 nuovi posti di lavoro, con una ricaduta positiva per un distretto di ricerca e produzione che coinvolge, nell’area torinese, importanti realtà nell’ambito dell’automotive e dell’aerospace, settori particolarmente famelici in termini di chip e già clienti di Intel.
Per superare il chip shortage serve una vera transizione tecnologica
Secondo quanto fatto in più occasioni intendere da Pat Gelsinger, CEO di Intel, il fenomeno globale dello chip shortage non sarebbe soltanto legato ad un temporaneo squilibrio tra la domanda e l’offerta, ma avrebbe radici ben più profonde, al punto da non poter essere superato senza un autentico ricambio generazionale nella ricerca e nella produzione delle tecnologie legate ai semiconduttori.
Se per soddisfare la domanda, secondo Gelsinger, non dovrebbero esserci particolari problemi oltre il 2024, anche a fronte del sensibile calo derivante dal mercato IT e da altri settori di business a cui stiamo assistendo già quest’anno, mentre le previsioni degli analisti indicavano il 2023 quale momento di flessione rispetto ad una escalation che durava ormai dal 2019, con i picchi imprevisti legati alla pandemia globale e al seguente new normal.
Le previsioni di Gartner ci prospettano infatti due dati particolarmente significativi. Da un lato, un calo del mercato PC che dovrebbe sfiorare addirittura il 10%. Dall’altro un mercato IT che nel suo complesso dovrebbe crescere del 3% a livello globale, un parametro ben più modesto rispetto al 5% abbondante a cui Gartner faceva riferimento per il 2022, non più tardi dello scorso mese di dicembre.
Ciò a cui fanno riferimento Intel, TSMC e gli altri colossi dell’industria dei semiconduttori non è quindi solamente rivolto a soddisfare obiettivi di breve termine, per consentire ad industrie come l’automotive di rimettersi in pari con la produzione che le loro linee di fatto consentirebbero se ci fosse una regolare fornitura di chip.
L’obiettivo è creare nuovi impianti in grado di aumentare i volumi complessivi di produzione, e soprattutto dotati di linee capaci di implementare nuove tecnologie, a partire dalla progressiva miniaturizzazione dei processi produttivi basati sulla fisica del silicio, oltre ad iniziare la sperimentazione concreta su altri materiali. Questi obiettivi sono al momento legati ad un’ottica di medio termine, con le deadline al 2030 a cui fanno riferimento anche i vari Chip Act.