«Hello Dreamers». È questo il saluto con il quale Francesca Moriani, CEO di Var Group, ha accolto una platea di 2000 persone presenti all’edizione 2024 della convention del gruppo.
Con una puntualizzazione chiara: dreamer, sognatori, visionari… «Sì, ma con senso pratico. Il tempo è finito, bisogna fare, accelerare, sbagliare sperimentare, imparare».
È il momento di mettere a terra, rendere concreti i tanti stimoli che sono stati dati in questi anni e che il digitale, la tecnologia, può solo amplificare.
Così, ecco che non c’è solo un invito a sognare. «Serve audacia. C’è bisogno di aver coraggio e di iniziare a fare seriamente tutto ciò che riguarda la trasformazione digitale e l’intelligenza artificiale -spiega Moriani -. Certo, bisogna anche sognare, dobbiamo stimolare le persone a sognare, a pensare fuori dagli schemi e a farsi venire in mente anche le idee più folli. E poi bisogna imparare a condividere: solo condividendo idee, anche le idee folli, condividendo competenze diverse, punti di vista diversi si può davvero ottenere il successo».
Superare i silos: l’importanza di organizzazioni aperte
Non sono inviti rivolti solo ai singoli. Sotto il riflettore della CEO ci sono anche e soprattutto le organizzazioni aziendali.
«Le nostre organizzazioni non sono pronte. Sono vecchie, ancora impostate a silos», incalza, facendosi portavoce della necessità di lavorare e operare in organizzazioni aperte, della realizzazione di una vera e propria “olocrazia”.
Ideata circa 15 anni fa da Brian Robertson, l’olocrazia (Holacracy) è un sistema di governance organizzativa decentralizzata, in cui l’autorità decisionale invece che essere concentrata in una gerarchia tradizionale è distribuita tra i membri di un’organizzazione. È una struttura organizzativa nella quale i ruoli e le responsabilità sono chiaramente definiti, ma senza la classica catena di comando.
«Sono una forte sostenitrice dei modelli organizzativi aperti: il potere nelle mani di tutti. Servono organizzazioni nelle quali le persone possono agire liberamente all’interno di regole che definiscono che si autodefiniscono», spiega ancora, sottolineando come proprio la trasformazione del modello organizzativo è uno degli impegni e degli investimenti più importanti che il gruppo sta facendo su se stesso.
Convention Var Group: le testimonianze di dreamers e innovatori
Nel corso dei due giorni della convention sono tanti i “dreamer” che salgono sul palco a portare la loro testimonianza, a raccontare la loro capacità di sognare, o di pensare fuori dagli schemi, come Yuri Chechi, il campione olimpico capace di emozionare l’intera platea con la sua storia di caparbietà, coraggio e ostinazione. O come Uri Levine, il cofondatore di Waze, capace di trasformare un’idea di innovazione in una realtà sulla quale Google investì 1,1 miliardi di dollari nel 2013. O come Marzio Trevisan, senior vice president global enterprise application in Essilor Luxottica, che ha raccontato la trasformazione di una piccola occhialeria bellunese in un colosso mondiale e degli sforzi per far convergere le tante entità legali in un’unica strategia, secondo un modello organizzativo definito. O ancora lo stesso Giovanni Moriani, visionario antesignano di un modo nuovo di portare tecnologie e innovazione alle imprese e ancora capace di sognare. «Io sogno. Io ancora sogno», dice in chiusura del suo intervento.
Olocrazia: potere e responsabilità distribuiti
Il punto è chiaro.
«Come si fa a far succedere le cose, a far sì che tutta la tecnologia che abbiamo a disposizione acceleri il benessere delle persone e Paese? – si domanda la CEO -. Sognando, facendosi venire idee nuove, creative, fuori dagli schemi. In Var Group stiamo lavorando, su un piano strategico a 5 anni focalizzato su una profonda trasformazione del modello organizzativo nel quale tutte le persone siano libere di agire, interconnesse e focalizzate su obiettivi comuni».
A questo scopo, è stato costituito all’interno di Var Group un gruppo di lavoro costituito da 18 persone, proprio per spingere il modello della holacracy: «Non ci deve essere gerarchia, le persone sul campo vivono la quotidianità, e sono loro che possono dire come si fa e cosa c’è da fare».
Una olocrazia che è tutto tranne che anarchia, tiene comunque a precisare Francesca Moriani.
La ricerca di un nuovo modello organizzativo risponde anche alle esigenze di un mercato che sempre più oggi «ci sta chiedendo di unire i puntini digitali».
I clienti non lavorano più a silos, vogliono partner che riescano a collegare tutte le infrastrutture e dare un senso pratico a come le tecnologie abilitano i modelli di business.
Non a caso, in questa edizione, rispetto al passato sono più i rappresentanti delle LOB e non i tecnici a riempire le fila dei clienti partecipanti.
Un’organizzazione aperta e votata al glocalismo
«La nostra forza è sempre stata la capacità di ascoltare il mercato, il saper mettere insieme punti di vista diversi: diversità e unicità».
Var Group è già nel pieno del nuovo fiscal year, iniziato lo scorso mese di maggio, per il quale si è data l’obiettivo di un fatturato di 900 milioni di euro, con tassi di crescita molto importanti sia in Italia sia all’estero.
«Se non avessimo questa capacità di ascolto non saremmo riusciti a espanderci in paesi così difficili per l’Italia come la Germania a esempio. Il nostro obiettivo è essere una azienda global, che condivide una visione di livello industriale, senza perdere la presenza locale: business globale, presenza locale. Ci stiamo muovendo verso una platform organization», spiega ancora la CEO.
Su questo punto interviene Alessandro Gencarelli, Head of sales and marketing del gruppo: «È evidente che quando si va all’estero l’aspetto culturale è fondamentale non solo dal punto di vista della lingua, ma del pensiero e dei modelli. Noi stiamo applicando un modello ibrido: scegliamo team globali, che guidano le nostre realtà all’estero, ma applichiamo il modello Var Group, in termini anche di organizzazione per Business Unit. Una sorta di glocalismo».
E se al momento il focus resta ancora fortemente incentrato sull’Europa, i manager non nascondono l’intenzione di ampliare la presenza del gruppo anche verso l’Asia e gli Stai Uniti. «Del resto i clienti hanno bisogno di avere un unico partner che li segua in contesti internazionali».
In ogni caso, ed è questo un dato significativo, i dipendenti all’estero rappresentano ormai il 15% sulla popolazione di 4.000 persone che costituisce Var Group.
Due nuove Business Unit nell’organizzazione Var Group
E per restare in tema di business unit, si segnala la nascita di due nuove organizzazioni all’interno del gruppo: 7 Circle, guidata da Matteo Masera, e Pluribus, guidata da Fabrizio Mangiavacchi.
7 Circle ha una vocazione di advisory e lavora su un utilizzo combinato di tecnologie, andando a lavorare direttamente con i clienti sui loro bisogni specifici. Sette tematiche chiave, sette cerchi dinamici: advisory, RUN, DEV, BUILD (diviso in cloud pubblico, progettazione infrastrutture e data center, network) observability.
Pluribus, invece, funge da “contenitore” per lo small business. Di fatto un aggregatore degli asset proprietari di Var Group, una software house «dimensionalmente significativa», come la definisce Mangiavacchi, il cui compito è creare soluzioni integrate per dare risposte ai bisogni del cliente della PMI, anche e soprattutto quei bisogni che lui non sa come affrontare.
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