Dazi Usa, Big Tech e dipendenza digitale: la sfida (urgente) dell’Europa.
Le politiche tariffarie introdotte in questi giorni dall’amministrazione Trump (qui tutti i dettagli sui Dazi introdotti da Donald Trump e dalla sua amministrazione) stanno generando un’ondata di analisi, commenti e preoccupazioni nei mercati internazionali. Gli esperti di economia e finanza stanno raccontando in dettaglio cause e conseguenze di quella che si profila come una nuova, accesa fase di confronto commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea.
Da un punto di vista europeo, però, c’è un aspetto che merita attenzione e che da settimane è al centro del dibattito: l’impatto della cosiddetta “guerra dei dazi” sul settore tecnologico e, in particolare, sui rapporti con le grandi aziende digitali americane attive nel mercato UE. Perché se da una parte la questione è commerciale, dall’altra tocca un nodo già noto: la vulnerabilità strategica dell’Europa nella dimensione digitale.
Dazi Usa, un fronte tecnologico sempre più esposto
Già a febbraio, un rapporto di Goldman Sachs anticipava una possibile evoluzione dello scontro commerciale: in caso di imposizione di dazi su beni europei strategici, l’UE avrebbe avuto difficoltà a rispondere con misure simmetriche. Il motivo? Il forte sbilanciamento nel settore dei servizi digitali, dove l’Europa dipende largamente da piattaforme e tecnologie statunitensi.
Di fronte all’imposizione di dazi statunitensi su beni europei strategici come automobili, farmaci e metalli, avrebbe avuto difficoltà a replicare con efficacia utilizzando esclusivamente misure di ritorsione tradizionali. Per questo motivo, si prospettava già allora un cambiamento strategico significativo: anziché colpire merci americane, la risposta europea avrebbe potuto/dovuto concentrarsi sui servizi digitali, puntando direttamente alle potenti Big Tech statunitensi.
Dazi Usa, l’Europa alla ricerca dell’autonomia tecnologica
Questo scenario è diventato estremamente realistico con l’annuncio ufficiale di Trump di applicare dazi generalizzati del 20% sull’export europeo, basati sul deficit commerciale che gli Stati Uniti hanno nei confronti dell’Europa nei beni materiali. Una scelta controversa, che ignora completamente il commercio equilibrato in servizi, settore dove, al contrario, l’Europa si trova in una posizione di forte debolezza rispetto agli Stati Uniti.
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha affermato apertamente che l’Europa dispone di vari strumenti per reagire, dalla leva commerciale fino alla regolamentazione tecnologica. Tra questi strumenti spicca il nuovo meccanismo europeo anti-coercizione (ACI), che potrebbe essere utilizzato proprio per limitare l’accesso al mercato europeo delle grandi aziende tecnologiche USA.
Questo tipo di misure potrebbe includere restrizioni sulle licenze operative, limitazioni agli investimenti americani, interventi su proprietà intellettuali o addirittura misure dirette contro servizi specifici come cloud, app store e piattaforme dati.
Anche negli Stati Uniti, il tech sotto pressione
Negli Stati Uniti, intanto, la situazione sta generando forti tensioni nel mercato IT. Secondo quanto riportato da fonti del settore, molti operatori tecnologici americani si trovano in grave difficoltà operativa a causa della continua incertezza generata dalle politiche tariffarie della Casa Bianca.
Alcune aziende sono state costrette a modificare rapidamente le proprie catene di produzione, spostandole da un paese all’altro per evitare i nuovi dazi, solo per scoprire poco dopo che anche queste nuove sedi erano state coinvolte dalle misure tariffarie. Queste condizioni hanno provocato un clima di forte stress, incertezza e confusione, paragonabile per gravità alle difficoltà sperimentate durante la pandemia di Covid-19.
La persistente instabilità sta causando un aumento generalizzato dei prezzi delle componenti hardware, con rincari che inevitabilmente ricadono sui clienti finali. Ciò ha spinto diverse aziende statunitensi a ritardare o ridimensionare gli investimenti in nuove tecnologie, innescando così un circolo vizioso che potrebbe comportare una riduzione generale della domanda e creare ulteriori difficoltà economiche per tutto il settore tecnologico.
Alcuni operatori prevedono aumenti consistenti sui prezzi di computer, server e componentistica, con incrementi compresi tra il 10% e il 15%. Questa situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che molte aziende si trovano già sotto pressione per aggiornamenti tecnologici obbligatori, legati a scadenze di supporto software critiche.
Dazi Usa, l’arma (complessa) dell’ACI
Ma torniamo all’Europa.
Come già accennato, l’ACI europea (Anti-Coercion Instrument) è uno strumento normativo adottato dall’Unione Europea per contrastare misure economiche coercitive messe in atto da paesi terzi contro l’UE o i suoi Stati membri.
È uno strumento pensato per consentire all’UE di rispondere in modo efficace e rapido a pressioni o minacce economiche, commerciali o finanziarie esercitate da altri paesi, imponendo contromisure mirate, come dazi doganali aggiuntivi, restrizioni all’accesso al mercato europeo per determinati beni o servizi, limitazioni agli investimenti, restrizioni sulle licenze operative e altri interventi simili.
Ma, per attivare l’ACI ,è richiesta l’approvazione da parte di almeno 15 dei 27 Stati membri dell’Unione, e il processo può richiedere tempo proprio per la delicatezza e l’impatto politico ed economico delle misure prese.
L’utilizzo dell’ACI da parte dell’Europa presenta dunque grandi rischi e non sarebbe di facile attuazione.
Per altro, se utilizzato contro le Big Tech potrebbe causare effetti indesiderati sul mercato europeo stesso, dove consumatori e imprese non dispongono ancora di valide alternative domestiche ai servizi digitali americani.
Economisti come Holger Schmieding e Carsten Brzeski hanno sottolineato chiaramente come questa risposta rappresenti una sorta di “opzione nucleare”, capace non solo di alterare drasticamente gli equilibri del commercio transatlantico, ma anche di provocare ulteriori rappresaglie da parte degli Stati Uniti.
Ora l’Unione Europea si trova di fronte a una scelta complessa e strategica, con conseguenze difficilmente prevedibili. Potrebbe optare per una rapida risposta sui prodotti materiali, rischiando una costosa escalation, oppure aprire un fronte del tutto nuovo, andando a colpire, per la prima volta, i colossi della tecnologia americana, in una mossa dall’alto impatto simbolico, economico e politico.
Perché scegliere soluzioni europee
Intanto, in rete si moltiplicano i siti e le piattaforme che offrono raccomandazioni per alternative ai servizi digitali americani. Questi siti puntano a indirizzare consumatori e aziende europee verso soluzioni tecnologiche provenienti da fornitori locali o da regioni meno coinvolte nei conflitti tariffari. L’obiettivo è quello di ridurre la dipendenza dai colossi statunitensi e creare una maggiore autonomia tecnologica europea, una tendenza che potrebbe accelerare ulteriormente se l’Europa decidesse davvero di procedere con restrizioni mirate contro le Big Tech americane.
Per altro, in questa ricerca dell’alternativa, si sottolinea come optare per provider europei possa addirittura comportare vantaggi significativi. Anzitutto, i fornitori europei garantiscono una piena conformità al GDPR, considerata una delle normative più rigorose al mondo sulla privacy e la gestione trasparente dei dati. Inoltre, affidarsi a provider europei significa ridurre sensibilmente il rischio di esposizione alla sorveglianza prevista dalle leggi statunitensi come il Patriot Act o il FISA 702, che consentono alle autorità americane l’accesso ai dati degli utenti senza notifiche né mandati specifici. Infine, rivolgersi a fornitori europei supporta aziende impegnate in pratiche tecnologiche etiche, attente alla privacy e orientate a garantire maggiore controllo agli utenti sulle proprie informazioni.
Quali alternative esistono già?
Tra le diverse aree prese in considerazione ci sono innanzitutto servizi di cloud computing e storage, dove emergono provider europei come Scaleway e OVHcloud dalla Francia, Hetzner dalla Germania e UpCloud dalla Finlandia, noti per garantire una gestione sicura dei dati all’interno dei confini europei.
Anche nel settore dei motori di ricerca, dominato solitamente da Google, sono state evidenziate alternative valide come la francese Qwant e la tedesca Ecosia, che si distinguono per il forte impegno sulla tutela della privacy e per modelli più etici di gestione dei dati personali degli utenti.
Per quanto riguarda i sistemi email, il testo segnala Proton Mail, con sede in Svizzera, e Tutanota dalla Germania, entrambi focalizzati sulla crittografia end-to-end e sulla massima riservatezza delle comunicazioni. Sul fronte dei social media e della messaggistica, vengono suggerite soluzioni più rispettose della privacy degli utenti, come Mastodon (Germania) ed Element (Regno Unito), quest’ultima basata sul protocollo aperto Matrix.
Il panorama europeo include anche browser come Brave, con team di sviluppo nell’Unione Europea, e il norvegese Vivaldi, entrambi impegnati a garantire un’esperienza di navigazione priva di tracciamento e orientata al controllo dei dati da parte degli utenti.
In ambito finanziario e di pagamenti digitali emergono aziende europee consolidate come Adyen (Paesi Bassi), Klarna (Svezia) e Revolut (Regno Unito), che offrono alternative valide ai colossi PayPal e Stripe, garantendo conformità alle normative europee e standard elevati di sicurezza.
Anche nell’e-commerce l’Europa offre alternative interessanti come BigCartel nel Regno Unito, Shopware dalla Germania e Bol.com dai Paesi Bassi, che sfidano direttamente giganti come Amazon e Shopify, proponendo modelli di business locali e maggiormente rispettosi della normativa europea sulla gestione dei dati.
Per gli strumenti di collaborazione e suite office, spiccano soluzioni come OnlyOffice (Lettonia) e NextCloud (Germania), che consentono alle aziende europee di lavorare in cloud mantenendo i dati completamente sotto il proprio controllo. Allo stesso modo, per videoconferenze e teamwork emergono piattaforme sicure e GDPR-compliant come Jitsi Meet dalla Francia e Whereby dalla Norvegia, ideali per chi desidera evitare i rischi legati ai servizi statunitensi come Zoom o Microsoft Teams.
Esistono inoltre alternative europee per hosting web e registrazione domini, come il provider francese Gandi.net e lo svizzero Infomaniak, noti per le loro rigorose politiche di privacy e sicurezza. Analogamente, nel campo dell’analytics e del marketing digitale, piattaforme europee come Piwik PRO (Polonia) e Matomo (Francia) offrono strumenti per analizzare i dati rispettando pienamente le norme europee sulla privacy.
Nel settore della cybersecurity e delle VPN, esistono soluzioni come Mullvad VPN (Svezia) e NordVPN, quest’ultima con un team di sviluppo europeo, che pongono particolare attenzione alla sicurezza degli utenti e alla totale assenza di registrazione delle attività online.
Infine, per strumenti di autenticazione digitale e identità, si parla di Ubisecure (Finlandia) e IDnow (Germania), entrambi progettati per rispettare le normative europee sulla privacy e la gestione dei dati personali. Allo stesso modo, in ambito e-signature, Yousign (Francia) e Skribble (Svizzera) garantiscono firme elettroniche legalmente valide secondo le normative europee.
E per concludere, non mancano strumenti di publishing digitale come Ghost (Regno Unito) e Storyblok (Austria), servizi di hosting e collaborazione per sviluppatori come GitLab CE e SourceHut, piattaforme europee di cloud gaming come Shadow e Blacknut dalla Francia, e infine aziende innovative nel campo dell’intelligenza artificiale e machine learning come Aleph Alpha (Germania) e Graphcore (Regno Unito).
European Alternatives
Interessante è anche l’iniziativa che ritroviamo in European Alternatives (european-alternatives.eu), un progetto ideato da Constantin Graf che raccoglie e analizza alternative europee ai principali servizi e prodotti digitali, solitamente dominati da grandi aziende statunitensi. Il principio guida di questo sito è quello di promuovere e rafforzare l’autonomia tecnologica europea, mettendo in evidenza servizi cloud, soluzioni SaaS (Software as a Service) e prodotti digitali che soddisfano criteri precisi di localizzazione e gestione dei dati.
Tutte le aziende elencate sul sito devono essere basate in uno Stato membro dell’Unione Europea, dell’Area Economica Europea (EEA), dell’Associazione Europea di Libero Scambio (EFTA) o dei paesi coinvolti nell’accordo DCFTA. Anche le eventuali società madri devono rispettare lo stesso criterio. Un’attenzione particolare è rivolta ai provider di hosting: non è infatti ammesso che i servizi siano semplici “sub-hosting” di grandi provider extra-europei, come ad esempio AWS, anche quando tali servizi sono tecnicamente ospitati in Europa.
European Alternatives contrassegna con apposite etichette quei servizi che, oltre a essere basati in Europa, garantiscono che i dati degli utenti siano ospitati esclusivamente su server localizzati all’interno dell’Unione Europea, operati da aziende europee. Un’altra etichetta speciale è riservata ai servizi che utilizzano energia rinnovabile, segnalata con una foglia verde, per evidenziare il loro impegno nella sostenibilità ambientale.
Il progetto si basa fortemente sulla collaborazione della community, che è invitata a suggerire nuovi servizi alternativi attraverso chat e social media, facilitando la scoperta e l’inclusione di nuove realtà tecnologiche europee.
Nei prossimi giorni proseguiremo questa riflessione, dando voce ai protagonisti dell’ecosistema delle alternative europee: esperti, analisti e aziende che stanno contribuendo a costruire una via autonoma, sostenibile e consapevole nel panorama digitale globale.