Intel, le voci sull’acquisizione di Qualcomm, la crisi. Sarebbe sembrato incredibile anche soltanto fino a pochi mesi fa, sentire voci relative ad una possibile acquisizione di Intel. Chi si fosse anche soltanto sognato di palesare una simile ipotesi sarebbe stato guardato a dir poco con sospetto, per non dir di peggio. Oggi questa ipotesi si è palesata eccome, anche se con ogni probabilità sarà destinata a rimanere tale.
Secondo le indiscrezioni del Wall Street Journal prima, e di Reuters in seconda battuta, Qualcomm avrebbe approfittato del periodo di incessante difficoltà di Intel per formulare un’offerta circa una clamorosa acquisizione. Anche se i dettagli non sono noti nella loro concretezza, le voci iniziali sono state ridimensionate al possibile interesse, da parte di Qualcomm, dell’attività di progettazione di PC client di Intel.
Tale mossa, anche se parziale, al di là degli aspetti economici e finanziari, avrebbe una portata storica nell’ambito dell’information technology, in quanto darebbe luogo ad un gruppo leader nelle principali architetture con cui vengono progettati gli elaboratori: x86 e Arm.
L’ipotesi si è presto raffreddata e Intel ha smentito i rumor a riguardo, ma un fondo di verità è stato confermato da varie fonti stampa americane. Nel frattempo, il fondo Apollo ha vociferato la possibilità di un possibile ingresso di capitali nell’ordine di 5 miliardi di dollari, per supportare alcune aree di attività di Intel, mentre il CEO Pat Gelsinger continua a barcamenarsi per cercare di rilanciare le sorti dell’azienda e cercare di tenere a bada schiere di investitori sempre più agguerriti.
Vediamo cosa sta succedendo nell’orbita di Intel, anche per comprendere le logiche alla base di una recessione aziendale senza precedenti. Molte altre realtà, probabilmente sarebbero già crollate, ma l’impressione, mai come in questo caso, è che Intel sia davvero too big to fail, troppo grande per fallire, per usare un’espressione che piace moltissimo agli americani.
Intel, Qualcomm: una notizia shock per un accordo, quasi, impossibile
Come annunciato in sede di premessa, Reuters ha pubblicato un rapporto, contenente fonti anonime, secondo cui Qualcomm avrebbe formulato un’offerta per acquisizione la divisione di progettazione PC di Intel, per fare un balzo deciso nel mondo server, oltre a consolidare la propria posizione in quel mondo personal che ha visto da pochi mesi avviare una collaborazione con Microsoft per i nuovi Copilot PC.
Per rendere meglio il concetto, ora vediamo la versione principale di Windows girare su unità Snapdragon, con SOC dotato di architettura ARM, processori storicamente destinati al mondo mobile, sui dispositivi smartphone e tablet.
Secondo questa osservazione, la mossa di Qualcomm appare decisamente strategica. Alcuni analisti hanno evidenziato come l’intenzione di puntare alla divisione di progettazione PC, e non direttamente ai chip stessi, sia un segnale evidente della volontà di acquisire know-how nel mondo server e nel mondo dei personal computer, in modo da estendere sensibilmente una tradizione di offerta basata sui dispositivi mobile.
Dobbiamo inoltre ricordare che lo scorso anno Intel ha chiuso una divisione di progettazione dei sistemi server, cedendo i progetti attivi a MiTAC.
Per quanto riguarda la divisione Client Computing a cui si fa riferimento considerando il possibile interesse di Qualcomm, la situazione sarebbe ben lungi da una prospettiva di liquidazione, in quanto tale unità è responsabile di oltre la metà dei ricavi del mercato prodotti, oltre ad essere letteralmente una delle poche cose che si salva nei complicati giorni che Intel sta vivendo.
Intel stessa, a qualsiasi livello aziendale, ha rifiutato di commentare tali voci, per non fare il gioco delle facili speculazioni. La stessa Qualcomm, nel momento in cui scriviamo, non ha rilasciato alcuna nota ufficiale. Per cui non ci rimane che la fonte anonima di Reuters.
In termini generali, considerando l’ipotesi di un’unione complessiva tra le parti, la situazione pare molto complessa anche per via delle recenti decisioni degli organi Anti-Trust, anche in merito ad acquisizioni dalla portata ben inferiore.
Recentemente, Intel ha visto sfumare un accordo con Tower Semiconductor, mentre Qualcomm ha subito la stessa sorte con NXP Semiconductor. Entrambe le operazioni sono state bloccate dall’ente antitrust cinese. Occorre inoltre ricordare come problematiche simili siano risultate definitivamente ostative per la possibile acquisizione di ARM da parte di NVIDIA, un affare da 66 miliardi di dollari sfumato nel nulla.
Quale nota a margine, appare decisamente improbabile come un gruppo da 35,8 miliardi di fatturato annuo come Qualcomm, per quanto in netta ascesa, acquisisca un colosso come Intel, che pur in piena crisi nell’ultimo anno fiscale ha portato a casa 54,2 miliardi di dollari.
D’altro canto, le ipotesi relative a possibili cessioni di singole unità da parte di Intel sono invece decisamente probabili, nella prospettiva generale di ridurre i costi.
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Intel e le voci di Bloomberg: possibili cessioni di Mobileye e Nex
Negli stessi giorni in cui si diffondeva la clamorosa voce relativa a Qualcomm, Bloomberg ha pubblicato un rapporto secondo cui i gravi problemi finanziari di Intel, che nel 2024 ha perso il 53% del suo market cap, potrebbero spingerla a disinvestire e cedere alcune unità, a cominciare da Mobileye, che si occupa di sistemi per la guida autonoma, di cui Intel è attualmente proprietaria per l’88% delle quote.
Tra le altre unità in odore di cessione figura NEX (Network and Edge Group) che secondo Bloomberg potrebbe essere oggetto di trattative anche nel breve termine.
Bloomberg ipotizza come queste cessioni, unitamente al taglio di oltre 16.000 dipendenti (15% della forza lavoro), consentirebbe a Intel di risparmiare oltre 10 miliardi di dollari nell’anno fiscale 2025, costituendo un’autentica boccata di ossigeno.
Intel e il fondo Apollo: pronti 5 miliardi per dare ossigeno al colosso dei chip
Pochi giorni dopo la notizia relativa a Qualcomm, il fondo Apollo Global Management avrebbe proposto ad Intel un investimento da 5 miliardi di dollari in Intel. Alcuni analisti hanno commentato la notizia affermando che oltre ai capitali, Intel avrebbe probabilmente bisogno di una strategia vincente, riferendosi probabilmente al fatto che gli sforzi fin qui presentati dall’attuale CEO, Pat Gelsinger, non hanno avuto gli effetti sperati, finendo in alcuni casi per peggiorare addirittura una situazione già tutt’altro che idilliaca.
Apollo Global Management è una delle principali società di investimento al mondo, con un impegno attivo nell’ambito del private equity e dell’asset management. In altri termini, autentici specialisti a rilevare quote o società per intero quando le cose vanno male, rilanciarle e trarne enormi profitti, direttamente o cedendole a terzi.
A rendere credibile questa ipotesi vi è il fatto che il fondo Apollo ha già investito 11 miliardi di dollari, rilevando il 49% di una joint venture che possibile gli stabilimenti irlandesi di Intel, per nulla nuova a mosse di questo genere, basti pensare ai finanziamenti ricevuti da Brookfield Asset Management nel 2022, per espandere la sua fonderia in Arizona.
Anche se Intel e Apollo tacciono saggiamente sulla questione, moltissime fonti statunitensi si dicono certe che le trattative siano in corso e che potrebbe riguardare una quota relativa alle fonderie in Ohio. Il fondo Apollo, al di là degli affari in corso con Intel, non è nuovo all’interesse nel mondo IT, avendo recentemente acquisito per 900 milioni di dollari uno stock di azioni privilegiate convertibili di Western Digital, brand noto per le sue soluzioni di storage.
Intel e la principale minaccia: i suoi azionisti. Dilagano le azioni legali
Oltre a dover fronteggiare problemi di ogni sorta, Pat Gelsinger deve anche vedersela con un fronte di azionisti sempre più irritato da quelle che vengono ritenute false promesse, quando non vere e proprie manovre ingannevoli nei loro confronti.
Per fare fronte a tale ipotesi, la stampa americana riporta che Intel avrebbe incaricato in gran segreto Morgan Stanley per ottenere un servizio di tutela strategica utile a formare un piano anti-attivisti. Si tratterebbe di un ritorno di fiamma, in quanto Intel e la celebre società di servizi finanziari sono stati anche partner in passato. Le parti in causa hanno espressamente rifiutato di commentare tale ipotesi, il che solitamente equivale al fatto che qualcosa di vero sulla questione sia quanto meno lecito sospettarlo.
Sicuramente, la pressione degli investitori su Intel sta salendo a dismisura ed è normale che il gruppo diretto da Pat Gelsinger cerchi di contenere una possibile escalation dall’interno. Ad oggi si hanno notizie di diverse cause legali minacciate o intentate da azionisti che citano possibili pratiche ingannevoli in merito alla presentazione delle perdite finanziarie. Ritrovarsi in mano azioni il cui valore si è oltre che dimezzato nel giro di meno di dodici mesi del resto non fa piacere a nessuno.
Ulteriori cause legali nei confronti di Intel derivano dal clamoroso difetto di costruzione dei chip Raptor Lake, il cui BIOS fallato ha causato picchi di tensione letali a molte unità PC.
Intel e le contromisure di Pat Gelsinger: il nodo cruciale delle fonderie
Secondo alcune indiscrezioni, il crollo azionario di Intel potrebbe causare all’azienda di Santa Clara una clamorosa uscita dal Dow Jones. Tale ipotesi, più volte rilanciata da Reuters, contribuirebbe ad aggravare un quadro di salute finanziaria già notevolmente compromesso.
La notizia avrebbe del clamoroso, anche considerando come Intel sia stata una delle prime tech ad entrare nel celebre indice azionario, nel lontano 1999. Il crollo reputazionale che ne conseguirebbe potrebbe avere esiti potenzialmente devastanti per un gruppo che vive una situazione di notevole fragilità.
Pat Gelsinger ha più volte riconosciuto parte degli evidenti problemi che vengono imputati ad Intel e ha promesso incessanti sforzi di ristrutturazione per cercare di riportare l’azienda ai fasti di un tempo. Fallendo finora il più delle volte, al punto che alcuni piccanti opinionisti del mercato tech, come The Register, hanno fatto puntualmente notare come il precedente CEO Bob Swan sia stato licenziato per molto meno.
Il mondo della finanza specula continuamente su come la dirigenza di Intel stia collaborando costantemente con importanti società di investimento per trovare una via d’uscita ai gravissimi problemi finanziari che la riguardano.
Tra le ipotesi più probabili, si prospetta lo scorporo delle attività di fonderia, che potrebbero così essere cedute del tutto o parzialmente a terzi, alleviando i miliardari passivi che il loro esercizio comporta.
Soltanto nel 2023, si parla di una perdita operativa superiore ai 7 miliardi di dollari. Nella prima metà del 2024 le perdite ammontano già a 5,4 miliardi di dollari, con previsioni in doppia cifra per l’anno completo: un’autentica voragine, a fronte del tentativo di Gelsinger di farne una nuova TMSC, una fonderia in grado di produrre stabilmente per terzi con contratti di grande spessore.
Al tempo stesso si fanno sempre più insistenti le voci di una possibile cessione, almeno parziale, di Altera, unità specializzata nella logica programmabile, acquisita da Intel nel 2025 per un 16,7 miliardi, e già scorporata dal brand principale nel corso del 2023. Si vocifera persino un possibile interessamento da parte della storica rivale AMD, che sta espandendo con decisione il proprio portfolio di soluzioni FPGA.
Quanto alle sorti di Intel Foundry Services, gli analisti concordano come tale gruppo non sia più in grado di reggersi con le proprie forze e che abbia bisogno di sostanziali rinforzi, anche considerando il notevole interesse nazionale a riguardo, di cui parleremo a breve. Una cosa è certa, la fiducia da parte degli investitori è ai minimi termini, e urgono immediate contromisure.
Per Intel, la decisione di abbondonare la produzione dei chip 20A appare oltremodo drammatica per le sorti delle proprie fonderie, a cui rimarrebbe soltanto la domanda proveniente dalla divisione prodotti.
Per cercare di tamponare il proprio collasso finanziario, Intel ha di fatto esternalizzato parte buona parte della produzione al colosso taiwanese TMSC, indiscusso leader delle fonderie di silicio a livello mondiale e produttore di riferimento per tutti i principali assemblatori di chip al mondo, NVIDIA compresa.
Tale evidenza, utile a dare respiro nell’immediato, risulta tuttavia in controtendenza rispetto alle dichiarazioni ufficiali di Gelsinger, che promettono il ritorno della produzione nelle proprie fonderie già a partire dal 2026. Oltre alle CPU basate sul processo 18A come le future Panther Lake (PC) e Clearwater Forest (Server Xeon), Intel punta a produrre in casa anche le GPU, le NIC e gli acceleratori di intelligenza artificiale.
In ogni caso, la semplice ipotesi di scorporare Intel Foundries in modo da aumentare le opzioni finanziarie relative al suo controllo appare ormai una delle poche note di entusiasmo, sempre che la pazienza degli investitori duri a sufficienza. Il timido rilancio in borsa che ha seguito l’annuncio di tale intenzione da parte di Gelsinger potrebbe apparire promettente a riguardo, soprattutto se verrà supportata da quanto segue.
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Intel e le notizie positive: i chip AWS personalizzati e la promessa di internalizzare le produzione dei nuovi processi
Tra le varie misure promesse da Pat Gelsinger per ridurre i costi e rassicurare dipendenti e investitori circa le sorti di Intel, non manca qualche barlume di speranza, come l’accordo multimiliardario, su base pluriennale, relativo alla produzione dei chip personalizzati per AWS (Amazon Web Services). Nelle fonti ufficiali, entrambi i big tech hanno manifestato grande soddisfazione per un accordo destinato a dare ulteriore linfa ad una “collaborazione strategica di lunga data”.
Almeno secondo le intenzioni di Gelsinger, tale accordo avrebbe una portata determinante per il rilancio di Intel. I chip AI fabric per AWS si baserebbero sul processo produttivo Intel 18A, verrà realizzato nelle proprie fonderie e dovrebbe consentire al colosso di Santa Clara di ridurre sensibilmente il gap nei confronti di TMSC e Samsung già entro la fine del 2025. Tale notizia andrebbe sommata negli effetti alla già citata decisione di riportare la produzione del fabbisogno interno nelle fonderie proprietarie entro il 2026.
Queste due notizie appaiono pertanto decisive nelle promesse di rilancio prospettate da Gelsinger, con una spinta di ottimismo relativa ad ulteriori accordi in programma tra Intel e AWS, che potrebbero riguardare la fabbricazione di ulteriori chip personalizzati per l’intelligenza artificiale, che andrebbero ad interessare anche nuovi processi, come Intel 18AP e Intel 14A.
Tale ipotesi coinvolge due società di punta USA e avrebbe il pieno sostegno del governo americano, che, come vedremo, sta già sovvenzionato Intel con molti miliardi di dollari affinché contribuisca a realizzare fonderie utili a rilanciare la sovranità dei chip a stelle e strisce.
Sia Intel che AWS hanno affermato che la nuova collaborazione strategica accelererà la produzione negli Stati Uniti, in particolare in Ohio, dove Intel sta costruendo nuovi impianti di fabbricazione di chip, gli stessi a cui potrebbe contribuire anche il fondo Apollo, e AWS sta investendo 7,8 miliardi di dollari per ampliare le opzioni dei data center. La notizia è stata confermata con grande entusiasmo dal governatore Mike DeWine.
Intel too big to fail? La mano dello “Zio Sam”, pronti altri 3 miliardi dall’esercito USA
Intel ha recentemente affermato la conferma di un finanziamento da 3 miliardi di dollari giustificato dal supportare l’esercito statunitense a rendere più robusta la propria resilienza produttiva a livello nazionale. Si tratta dell’ennesima azione di supporto garantita dall’amministrazione Biden a Chipzilla, anche oltre gli accordi già stabiliti con il celebre CHIPS Act, di cui peraltro il Secure Enclave dell’esercito faceva già parte e per cui è stata prevista una ulteriore misura eccezionale.
Intel ha precisato come il programma Secure Enclave sia un’evoluzione dei progetti attualmente in corso con il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, nell’intenzione di contribuire ulteriormente a rafforzare i sistemi di difesa e di sicurezza nazionale.
Chris Geoge, capo di Intel Federal, unità che si occupa nello specifico dei progetti pubblici ha in via ufficiale dichiarato come: “L’annuncio sottolinea il nostro impegno congiunto con il governo degli Stati Uniti per rafforzare la filiera nazionale di fornitura di semiconduttori e per garantire che gli Stati Uniti mantengano la loro leadership nella produzione avanzata, nei sistemi microelettronici e nella tecnologia di processo“.
L’interesse dello Zio Sam per le fonderie di Intel collocate sul territorio americano è palese, dal momento che oltre ai 8,5 miliardi di dollari in sussidi e 11 miliardi di dollari in prestiti agevolati del CIPS and Science Act, iniziano ad aggiungersi episodi eccezionali come i 3 miliardi di dollari del Secure Enclave.
L’obiettivo dichiarato del governo americano, alla base del disegno di legge del CHIPS and Science Act, è quello di favorire la resilienza delle supply chain nazionali, rendendo la produzione dei chip meno dipendente dalla produzione asiatica, almeno per quanto riguarda il fabbisogno interno. L’emergenza era emersa già prima della crisi globale della pandemia Covid-19, quando nel 2018 GlobalFoundries aveva abbandonato la sua tecnologia di processo a 7nm, lasciando di fatto a Intel l’intero onere della produzione sul territorio nazionale.
Un potenziale spin-off delle fonderie di Intel, dato sempre più probabile e riconosciuto dallo stesso Gelsinger, rimetterebbe in parte in discussione questa strategia politica, per cui è decisamente probabile che il governo americano agirà a tutela della sicurezza nazionale, cercando di scongiurare possibili investimenti da parte di capitali non statunitensi.
Tra le varie ipotesi, appare improbabile un approccio in stile cinese per risolvere la crisi. L’eventuale nazionalizzazione di Intel Foundry pare al momento una possibilità alquanto remota.
Intel gioca d’attesa, ed avrebbe annunciato la volontà di non apportare modifiche alle fonderie in Arizona, Oregon e New Mexico, intervenendo soltanto quando si manifestano congiunture favorevoli, come nel caso dell’Ohio. La strategia attendista orchestrata da dal CEO Pat Gelsinger e dal CFO David Zinsner appare utile a non aggravare ulteriormente la delicata salute finanziaria di Intel, sperando in azioni di supporto da parte dei contribuenti in virtù dell’interesse nazionale.
Intel e lo stop ai progetti europei: Italia salva per mancato investimento
In una delle ultime comunicazioni ufficiali, rivolte ai dipendenti dell’azienda, Pat Gelsinger ha annunciato l’intenzione di Intel di sospendere per due anni la costruzione di un nuovo stabilimento per la produzione di chip in Germania e di un centro di assemblaggio e collaudo in Polonia. Si tratta di investimenti in parte supportati dal Chips Act europeo, che avevano coinvolto, più in chiacchiere che non in effettiva sostanza, anche la possibilità di realizzare un impianto di assemblaggio in Italia, con ipotesi in provincia di Torino e Verona.
Intel ha inoltre deciso di rinviare a tempo indeterminato l’avvio della costruzione di uno stabilimento per il packaging dei chip in Malesia, destinato alla produzione dei nuovi processi costruttivi. Ad oggi l’ipotesi non sarebbe preclusa, ma appare chiaro come sia scivolta in coda alle priorità, anche in attesa di sapere cosa sarà effettivamente del futuro delle fonderie di Intel. In Malesia vengono tuttavia confermate le attività di progettazione e produzione già attive.
Nella comunicazione ai dipendenti in cui sono state annunciate queste novità, Gelsinger ha motivato i rallentamenti per via di una scelta tecnologica, non finanziaria, vale a dire la transizione dell’azienda all’uso della litografia ultravioletta estrema (EUV), la tecnologia avanzata di produzione dei chip Intel 7.
La presunta contrazione della domanda di mercato sarebbe invece alla base del rallentamento della produzione europea, dove l’hub irlandese rimarrà il principale punto di riferimento a livello di presenza per Intel nel vecchio continente.
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