Tutti vogliono il SaaS: come è possibile per un ISV guadagnare davvero?
Una recente ricerca messa a punto da McKinsey ha evidenziato in maniera molto ben circostanziata come negli ultimi dieci anni la crescita del modello a servizio in cloud abbia radicalmente cambiato l’industria del software, in particolare quella relativa al segmento enterprise.
Se il modello SaaS (Software as a Service), secondo le stime di McKinsey oggi interessa il 29% del mercato software generale ed il 75% del mercato enterprise, si assiste ad un fenomeno apparentemente in controtendenza: dal 2011 al 2018 il volume d’affari del mercato software è all’incirca raddoppiato, ma sul fronte dei guadagni effettivi i vendor hanno riscontrato un calo evidente, vedendo in buona sostanza dimezzati i propri portafogli. Come è possibile? Parliamo del resto di un volume d’affari che, soltanto in relazione al SaaS enterprise sarebbe stimato nell’ordine dei 380 miliardi di dollari all’anno.
Il dato rilevato da McKinsey in realtà non sorprende più di tanto, se consideriamo che il modello di business basato su internet mira ad allargare innanzitutto la base degli utilizzatori, rimandando i profitti ad una seconda fase che in buona sostanza è quella in cui gli investitori si stanno vedendo in questo momento.
In altri termini, dopo aver investito a lungo ed aver visto crescere in maniera drastica il mercato software, ci si attenderebbe che le marginalità iniziassero a seguire la stessa tendenza. Il periodo post Covid-19 ha segnato una sorta di linea di demarcazione, che prospetta soprattutto nel medio periodo delle dinamiche di ulteriore sviluppo per il mercato software, dal momento che la reazione alla crisi si concretizza con l’aumento dall’investimento che le aziende dedicano ai servizi digitali. Se non è possibile guadagnare ora sul SaaS, quando sarà possibile farlo?
Cosa possono fare quindi gli ISV per migliorare la marginalità della propria iniziativa imprenditoriale basata sul software a servizio? Vediamo alcuni elementi che, se inquadrati in maniera corretta in una prospettiva di business, potrebbero aiutare i vendor a posizionarsi in maniera corretta sul mercato, sfruttando in maniera più efficace il loro lavoro, iniziando proprio dalla contestualizzazione, da quella vertiginosa crescita del cloud in cui, almeno per il momento, pare non sia davvero tutto ora quel che luccica.
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Il software in cloud: fatturati enormi, ma chi guadagna davvero?
La vertiginosa crescita dei servizi in cloud ha incrementato a dismisura il volume d’affari dei big one, i provider in grado di assicurare tutto ciò che occorre sulla nuvola per rendere un’azienda cliente sempre più competitiva.
Secondo le stime di McKinsey, gli ecosistemi cloud di Microsoft (Azure), Amazon (AWS) e Alphabet (Google Cloud), nel periodo 2014-2018, sono cresciuti in ordine di fatturato nell’ordine del 65% rispetto al dato iniziale. La stessa Microsoft, da quando Satya Nadella è diventato CEO nel 2014, spingendo con estrema convinzione nella direzione di Azure, è cresciuta, in termini di fatturato annuo, da 78 a 143 miliardi.
Certo, sono enormi anche le spese e gli investimenti che i big tech effettuano ogni giorno per rendere sempre più competitivi i rispettivi ecosistemi, ma investire sul cloud è stata una mossa decisamente azzeccata, per dare forma ad un paradigma infrastrutturale che pare soltanto agli albori della sua gloria.
In termini di fatturato, i servizi cloud sono una vera miniera d’oro e ciò vale per l’infrastruttura (IaaS), per le piattaforme di sviluppo (PaaS) ed ovviamente anche per i software (SaaS), soprattutto quelli che potremmo definire orizzontali, capaci di intercettare un pubblico molto ampio, come gli applicativi office automation e la posta elettronica, per citare due esempi che la maggior parte delle persone utilizza ogni giorno in ambito lavorativo, e non solo.
Parlando di guadagni, le analisi di McKinsey ci dicono che dal 2016 al 2018 il PaaS ha avuto un incremento medio annuo del 44%, mentre il SaaS soltanto del 26%. Per quanto il dato possa essere in parte l’indice di una propedeuticità e del fatto che molti PaaS abbiano sostenuto in precedenza l’investimento di base per ottenere una profittabilità più elevata, il divario appare decisamente netto, per cui è opportuno che i modelli di business basati sul SaaS si pongano qualche punto di domanda. Gli investitori non possono logicamente attendere in eterno.
In questo scenario di grande fermento, gli ISV si ritrovano nelle tradizionali forche caudine di chi da un lato investe ancora per crescere e dall’altro si vede rendere conto degli investimenti fatti. Ma ogni giorno che passa appare sempre più consolidato il fatto che non sia affatto sufficiente essere in cloud e avere un piano di pricing basato sulle subscription annuali.
Per avere realmente successo, in uno scenario estremamente competitivo, il modello a servizio deve essere molto di più di una semplice variazione dell’offerta commerciale. Da questa presa di coscienza, consegue una valutazione più mirata delle opportunità che il cloud può garantire agli ISV per lo sviluppo dei loro SaaS.
Dal SaaS alla SaaS Experience
Il successo e la rapida diffusione del SaaS nel mercato del software scaturiscono dalla possibilità di sfruttare gli oggettivi vantaggi che il cloud offre grazie alla centralizzazione dei servizi.
Il fatto di poter essere pienamente operativi nel tempo di un login su una pagina web, dimenticandosi di tutta l’infrastruttura IT, pagando soltanto per ciò che si utilizza per molti è stato semplicemente l’avversarsi di un sogno: poter pensare soltanto al proprio lavoro, alle operazioni che ogni utente è chiamato a svolgere durante la sua giornata lavorativa, senza doversi preoccupare di nient’altro, nessun aggiornamento, nessun crash e possibilità di essere online ovunque, attraverso qualsiasi device.
In altri termini, il SaaS ha rivoluzionato l’esperienza dell’utente nell’utilizzo del software.
Questa rivoluzione nella UX comporta un cambiamento sotto vari punti di vista. Non è pensabile migrare da on-prem al cloud e sperare che vada bene così.
Il contesto esperienziale è totalmente differente, così come le opportunità del cambiamento che vanno valorizzate. Bisogna insomma dare un buon motivo agli utenti per variare rispetto alle soluzioni cui sono tradizionalmente abituati. E questo non avviene eliminando da un giorno all’altro un software nella speranza che una condizione di lock-in li porti ad accettare la sua variante in cloud. Approcci di questo genere son mal tollerati.
Profilandosi l’opportunità di un cambiamento, perché non valutare alternative che potrebbero rivelarsi più vantaggiose? I rischi per chi può vantare un portfolio di clienti consolidati possono rivelarsi delle opportunità per novizi e later adopters del mercato SaaS, che possono rivelarsi abili nello sfruttare gli errori di chi li ha preceduti.
Passare dal modello tradizionale al modello SaaS non deve essere un copia-incolla, ma l’occasione per sfruttare i vantaggi del cloud per garantire un’esperienza differente, più moderna, agile e capace di soddisfare i trend evolutivi delle operazioni da automatizzare. Non si può quindi prescindere da una solida conoscenza dei processi che si intende ottimizzare.
Per fare un esempio pratico, se sviluppassimo una soluzione e-commerce, dovremo analizzare in maniera scrupolosa il mercato e comprendere se in quel dato contesto i clienti preferiscono finalizzare l’acquisto online, piuttosto che in store.
Nel primo caso la nostra app essere finalizzata alla vendita, mentre nel secondo caso dovrà garantire lo strumento di base per una strategia online to offline, per condurre i clienti verso la conversione negli store.
Un ISV non può quindi prescindere dalla conoscenza delle logiche omnichannel che stanno alla base di una strategia di marketing, di cui il software è a tutti gli effetti uno strumento pratico. Gli esempi che potremmo citare sono innumerevoli in tal senso.
La comunicazione, croce e delizia degli sviluppatori
Se l’esperienza d’uso caratterizza un requisito primario, in molti casi assistiamo piuttosto ad un problema di comunicazione da parte degli ISV, soprattutto nel trasmettere il valore aggiunto della propria offerta SaaS, che rischia di omologarsi nella sterminata giungla di offerte all’apparenza simili, anche nel prezzo, oltre che nelle feature presentate.
Se riteniamo che la nostra soluzione sia particolarmente valida per soddisfare le esigenze di un target ben profilato, dobbiamo essere in grado di spiegarlo, dimostrarlo e farlo comprendere a quelli che vogliamo diventino i nostri clienti.
La sfida sul fronte comunicativo è plurime: è innanzitutto fondamentale far capire in cosa consiste una soluzione molto spesso innovativa, quali vantaggi la sua adozione può garantire, facilitando la divulgazione di ciò che è per natura tecnico, rendendolo comprensibile anche a chi non è necessariamente un addetto ai lavori sul fronte del software, ma vuole soltanto ciò che gli serve per lavorare al meglio, a prescindere da inutili tecnicismi.
La comunicazione deve inoltre arrivare dritta al dunque, per convincere qualcuno ad acquistare il nostro servizio, e proprio il nostro, non un altro all’apparenza simile, perché sapremo posizionarci e differenziare la nostra offerta rispetto alla concorrenza. L’identità del nostro brand trasmetterà senza compromessi i valori che vogliamo mettere in campo. Occorre infine essere chiari, diretti ed efficaci nella descrizione dell’offerta commerciale, a valle di un modello di business capace di intercettare nel modo migliore la varietà del parco di utenti che intende coinvolgere e convertire in sottoscrizioni durevoli, destinate anzi a crescere nel tempo grazie alla naturale scalabilità offerta dal SaaS.
Questi aspetti incidono in maniera molto diretta sull’aumento dei profitti nel SaaS, sia in termini di nuovi contatti da convertire, sia nell’intercettare e selezionare i cosiddetti clienti profittevoli, quelli che saranno disposti a spendere di più per i nostri servizi.
La comunicazione dell’offerta riveste dunque un ruolo fondamentale per il successo di una strategia basata sul cloud.
Soluzioni verticali, su misura per il cliente
Abbiamo visto come i big one siano stati prontissimi a portare in cloud i loro software di riferimento, con nuovi modelli a servizio. È il caso di Microsoft Office, definitivamente rinominato Microsoft 365, per enfatizzare il servizio continuativo, 24/7 ogni giorno dell’anno. Lo stesso hanno le altre multinazionali del software, ricorrendo anche a soluzioni ibride, come nel caso di Adobe e della sua Creative Suite, da anni un punto di riferimento per il mercato dell’editing digitale: oggi si chiama Creative Cloud.
La lista di software storici che hanno migrato almeno parzialmente in cloud è molto lunga, al punto che secondo le stime di McKinsey soltanto il 25% dei vendor non avrebbe ancora proposto un’offerta SaaS.
Spesso ciò accade nel caso di software ancora legati a doppio filo con l’installazione in locale, come nel caso dei CAD meccanici, dei BIM e di applicazioni che non possono condividere i propri dati a servizi terzi.
Anche in questo caso, spesso assistiamo ad una ibridazione, con un modello a sottoscrizione e verifica della licenza in cloud, pur mantenendo l’infrastruttura on-prem. Insomma, la casistica è estremamente ampia, varia e in piena evoluzione. Lo spazio per l’inventiva c’è tutto.
Se un ISV decidesse di puntare su un’applicazione orizzontale, ben difficilmente riuscirebbe a spuntarla. Per un modello a servizio, la sfida appare letteralmente persa ancora prima di cominciare. A costo di apparire categorici, possiamo tranquillamente affermare come le regole del gioco siano stabilite dai giganti del cloud, che a fronte dei loro investimenti possono garantire offerte SaaS a condizioni che gli altri player ben difficilmente possono sostenere. Occorre dunque variare strategia.
L’ISV ha un vantaggio che deriva dalla capillare conoscenza del mercato a cui si riferisce e deve differenziarsi proprio il quel frangente: nella personalizzazione del software per soddisfare le specifiche esigenze dei suoi clienti, potenziali o acquisiti che siano. Creare condizioni esclusive garantisce inoltre una disponibilità a pagare più elevata da parte del cliente stesso.
Nel caso di soluzioni generaliste, spesso la spunta semplicemente chi riesce a garantisce il prezzo più basso, anche per via di una concorrenza molto elevata.
Puntare su soluzioni verticali garantisce agli ISV di sfruttare zone di opportunità del mercato altrimenti molto difficili da intercettare, con la facoltà di costruire una solida reputazione concentrandosi su ambiti specifici, senza l’esigenza di spingere in direzioni molto difficili da sostenere, soprattutto per gli sviluppatori più piccoli.
In questo contesto diventa molto importante lavorare in maniera molto oculata sul portfolio di software dell’offerta, cercando di superare la mania di avere molti servizi, quando molti di essi probabilmente non si rivelano così efficienti.
Il ruolo delle partnership strategiche
Se non puoi batterli, fatteli amici, diceva il detto. In tempi non sospetti, Mark Benjamin, CEO di Nuance, dichiarava: “La giusta partnership consente di ottenere il maggior vantaggio competitivo possibile ed aumentare la crescita dell’azienda. Mercati come l’enterprise e la sanità attirano competitor molto ricchi, per differenziarsi, devono creare da zero, acquisire o allearsi con chi possiede già le competenze che cercano. In questo modo un competitor può diventare un prezioso partner”.
Nuance è un marchio leader nelle tecnologie NLP (Natural Language Processing) e grazie alla spinta di Microsoft è riuscita a diventare un punto di riferimento per i servizi vocali basati sulle AI in ambito sanitario.
Il resto è storia recente, dopo anni di proficua partnership, Microsoft ha acquisito Nuance per 19,7 miliardi di euro, a conferma, da un lato, degli enormi sforzi che i big one fanno per ampliare il proprio portfolio di expertise, dall’altro come gli sviluppatori dotati disoluzioni tecnologicamente vincenti possano costruirsi delle opportunità inimmaginabili contando soltanto sulle loro forze o sull’apporto limitato all’ambito finanziario dei venture capitalist. Questo vale soprattutto per le startup, che tra i propri obiettivi possono meritatamente ambire ad una exit molto profittevole, in un contesto dove poter crescere ulteriormente, continuando ad investire sulle tecnologie che loro stesse hanno ideato.
Estendere i servizi delle piattaforme cloud più diffuse
Le opportunità per gli ISV per migliorare le marginalità dei loro SaaS sono molto concrete e spesso non richiedono la costruzione da zero di nuove applicazioni cloud native.
Esistono infatti delle piattaforme SaaS aperte ad estensioni o addirittura integrazioni di software di terze parti, per verticalizzare in maniera ancora più specifica delle soluzioni già mirate a soddisfare le esigenze di ambiti quali il marketing, le vendite, l’assistenza clienti, il retail, la supply chain, l’HR e molti altri.
È il caso di Dynamics 365, la piattaforma SaaS enterprise di Microsoft, concepita per garantire agli ISV un’ampia gamma di personalizzazioni dei loro servizi.
D’altro canto, uno sviluppatore che si appoggia ad una soluzione come Dynamics 365 può accelerare notevolmente il proprio business, contando sia sulle garanzie tecnologiche che Microsoft è in grado di offrire grazie al know-how delle migliaia di applicazioni che ogni giorno si aggiungono al suo portfolio di applicazioni in cloud, sia sulla spinta che un ecosistema così solido può assicurare dal punto di vista del posizionamento e del marketing.
In attesa di quella che potremmo definire quale la golden age del SaaS, i tempi sono maturi per iniziare a parlare seriamente di profitti e gli ISV, ora più che mai, non devono lasciarsi sfuggire questa occasione. Si tratta di un treno che potrebbe non ripassare tanto facilmente.
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