Le principali tecnologie dell’IT sono da sempre condizionate da un fondamentale dibattito: closed source o open source? In questo contesto, la virtualizzazione non costituisce affatto un’eccezione, soprattutto quando si affronta il fondamentale momento legato alla scelta della piattaforma da utilizzare.

Non esiste una risposta valida a priori per tutti i contesti applicativi, in quanto vi sono soluzioni estremamente affidabili a prescindere dal fatto che sia o meno disponibile il loro codice sorgente.

Entrambe le opzioni presentano pro e contro, ma una piattaforma di virtualizzazione di moderna concezione, come Red Hat OpenShift, consente di godere pienamente di tutti i vantaggi del software open source, senza rinunciare al supporto e alla garanzia di continuità offerta da un brand di riferimento come Red Hat.

Quando si parla di virtualizzazione open source oggi, si finisce spesso a parlare di Kubernetes, lo standard de facto per quanto riguarda l’orchestrazione dei container, i più popolari ambienti IT utilizzati per lo sviluppo delle applicazioni cloud ready.

Vediamo quali sono i principali vantaggi offerti dalla virtualizzazione open source e in cosa consiste il valore aggiunto di una soluzione di ultima generazione come Red Hat OpenShift Virtualization.

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La virtualizzazione open source: la rivoluzione dell’IT

La virtualizzazione open source ha progressivamente rivoluzionato il modo in cui vengono rese disponibili le risorse IT, in qualsiasi contesto applicativo. Ancor prima di evidenziare i vantaggi offerti dalla possibilità di disporre del codice sorgente, sarebbe infatti alquanto complesso scindere la storia della virtualizzazione con quella dell’IT. La loro evoluzione è proseguita su binari paralleli per molti decenni, e si avvia verso un futuro dove le risorse IT software defined saranno sempre più protagoniste delle infrastrutture ibride.

Come abbiamo approfondito in questo articolo relativo alla virtualizzazione di macchine virtuali e container (NOTA PER EDITOR – INTERNAL LINK CON L’ALTRO ARTICOLO), i data center hanno visto affiancarsi alle virtual machine tradizionali alcune tecnologie moderne, come i già citati container, divenuti l’ambiente IT di riferimento per lo sviluppo delle applicazioni cloud native e dei modelli di distribuzione CI/CD (continuous integration, continuous deploy).

La virtualizzazione è diventata una tecnologia sempre più essenziale nella definizione delle infrastrutture IT, oltre che un punto di riferimento indispensabile quando si parla di applicazioni e servizi in cloud.

Le radici della virtualizzazione risalgono ai mainframe IBM degli anni ’60, dove venivano utilizzati per suddividere le risorse hardware tra più utenti. Si trattava tuttavia di iniziative pionieristiche, utili a creare le basi concettuali per una maturazione che sarebbe avvenuta non prima di trent’anni.

In particolare, la virtualizzazione open source, come la conosciamo oggi, ha iniziato la propria diffusione a partire dagli anni Novanta, spinta soprattutto dalla necessità di ottimizzare l’utilizzo delle risorse dei server, dalla crescente diffusione di Internet e dall’avvento del cloud computing.

Oltre ai tre fattori già citati, il successo della virtualizzazione open source è legato alla sua adozione da parte delle grandi aziende, alla ricerca di un maggior controllo rispetto a quello offerto dalle soluzioni a sorgente chiuso, e dalla progressiva democratizzazione di questa tecnologia. Oggi aziende di qualsiasi dimensione possono creare e gestire i loro ambienti virtuali e questo ha consentito di abbattere progressivamente le barriere di ingresso nei confronti della virtualizzazione.

Sviluppate in orbita Linux, le principali tecnologie di open source virtualization hanno consentito un ulteriore diffusione di questa tecnologia, grazie alla formazione di grandi community, in grado di contribuire attivamente alla creazione di nuove soluzioni, finalizzate a soddisfare esigenze di business anche molto specifiche.

Tecnologie come QEMU, uno dei primi emulatori open source, pensato per emulare più sistemi operativi su una singola macchina, o l’hypervisor KVM (Kernel-based Virtual Machine) costituiscono tuttora uno standard di riferimento nell’ambito della open source virtualization e costituiscono i componenti fondamentali di Red Hat OpenShift, che consente di utilizzare un’unica piattaforma per la gestione delle virtual machine tradizionali e dei moderni container.

Oggi la virtualizzazione open source va considerata a tutti gli effetti quale una tecnologia matura e consolidata, con un ecosistema ricco di software e strumenti. Un ecosistema in continua evoluzione, capace di adattarsi alle esigenze alle tendenze del mercato, come ci conferma il dibattito legato all’implementazione dell’intelligenza artificiale.

LEGGI ANCHE: Open source cos’è, a cosa serve e perché oggi se ne parla sempre di più in ambito aziendale

I vantaggi della virtualizzazione open source

In termini generici, la virtualizzazione offre numerosi vantaggi nella gestione dell’infrastruttura IT, soprattutto quando questa viene configurata in maniera ibrida, attingendo a risorse on-premise e in cloud.

Offrendo una sintesi essenziale, i vantaggi della virtualizzazione si profilano sul piano della riduzione dei costi, di una maggiore flessibilità, di un aumento di efficienza e di un incremento degli standard di sicurezza.

Nello specifico, la virtualizzazione open source consente di raggiungere nuovi traguardi sul fronte della personalizzazione e dell’innovazione, grazie al supporto da parte di una community molto ampia di sviluppatori.

Tra i vantaggi più apprezzati della virtualizzazione open source ritroviamo:

  • Accesso al codice sorgente: l’open source consente di personalizzare e modificare il software in base alle specifiche esigenze di ogni azienda.
  • Varietà di strumenti e distribuzioni: l’ecosistema open source offre una vasta scelta di hypervisor, strumenti di gestione e distribuzioni Linux ottimizzate per la virtualizzazione, ormai decisamente mature a livello di implementazione.
  • Utilizzo di standard ampiamente diffusi: le piattaforme open source per la gestione dei container si basano su standard ampiamente diffusi, come la tecnologia di orchestrazione Kubernetes, nativamente concepite per offrire un elevato livello di personalizzazione delle funzioni e delle interfacce.
  • Riduzione del rischio di vendor lock-in: l’impiego di una soluzione open source scongiura il rischio del fallimento di un vendor o della possibile variazione unilaterale degli accordi, a cominciare dalle condizioni economiche.
  • Ottimizzazione e controllo dei costi: non sempre le soluzioni open source sono le più indicate a rispondere le esigenze delle aziende, in quanto generalmente comportano un investimento iniziale importante per la personalizzazione, che nella maggior parte dei casi viene tuttavia ampiamente ripagato nel medio e nel lungo periodo, costituendo un asset IT essenziale per l’organizzazione.

Red Hat Openshift Virtualization: come Kubernetes, più di Kubernetes

Red Hat OpenShift è una piattaforma open source basata su Kubernetes, standard de facto per l’orchestrazione dei container. Utilizza coreOS quale distro Linux di riferimento, una versione semplificata del celebre RHEL (Red Hat Enterprise Linux).

Per molti aspetti, OpenShift Virtualization apre una nuova era, in cui viene meno la separazione tra la virtualizzazione tradizionale e i moderni container. Un punto di forza di questa soluzione è dovuto al fatto che non deriva da una piattaforma estesa soltanto sulla base di funzionalità proprietarie, come avviene nel caso di altre soluzioni commerciali.

Estensione funzioni base di Kubernetes

OpenShift Virtualization utilizza le funzioni standard di Kubernetes, ampliandole sulla base dello standard CRD (custom resource definition) e le utilizza anche per la gestione delle VM, oltre che dei container. Rispetto alla versione base di Kubernetes, L’interfaccia utente appare decisamente più user friendly ed offre una serie di funzioni ottimizzate per facilitare l’operato dei sistemisti e dei team di sviluppo.

Un esempio pratico è dato dagli operatori, un metodo basato su Kubernetes che consente di introdurre nuove funzioni attraverso le API. Nel caso dell’integrazione delle VM, vengono utilizzate delle CRD come VirtualMachine, VirtualMachineInstance, VirtualMachineInstanceMigration, VirtualMachineSnapshot e Data Volume.

Emulazione

In altri termini, OpenShift Virtualization consente di eseguire le VM (sia Win che Linux) in container, come qualsiasi Pod, utilizzando l’emulatore QEMU che si avvale dell’hypervisor KVM presente nella distro Linux RHEL CoreOS. L’utilizzo di tecnologie open source comuni consente a OpenShift Virtualization di risultare altamente compatibile con le risorse definite da Red Hat Virtualization e OpenStack, le tecnologie di virtualizzazione tradizionali del brand dal cappello rosso.

Networking

Dal punto di vista del networking, OpenShift Virtualization utilizza la CNI (container networking interface) di Kubernetes, implementando ulteriori interfacce di rete grazie al meta plugin Multus, utilizzabili sia per i Pod che per le VM.

Sicurezza informatica

Dal punto di vista della sicurezza informatica, OpenShift Virtualization utilizza tecnologie ereditate dal portfolio di Red Hat, come SELinux MCS, oltre al fatto che la distro coreOS su cui si basa non è modificabile di default. L’hypervisor KVM vanta inoltre un ottimo livello di isolamento, reso progressivamente più affidabile in molti anni di sviluppo.

LEGGI ANCHE: IT ibrido e virtualizzazione: VM e Container su un’unica piattaforma, la soluzione Red Hat Open Shift

Conclusioni: i vantaggi dell’implementazione di Red Hat OpenShift Virtualization

In estrema sintesi l’adozione di una soluzione di moderna concezione come Red Hat OpenShift Virtualization consente di ottenere almeno i seguenti vantaggi:

  • Facilitare strategia di modernizzazione (verso architetture basate su container)
  • Utilizzo di un’unica piattaforma di virtualizzazione per VM e cointainer.
  • Benefici di carattere commerciale, come la possibilità di installare RHEL su ogni VM senza costi aggiuntivi.
  • Maturità di soluzioni Open Source come KVM e KubeVirt.
  • Orchestrazione Kubernetes: funzioni di network connectivity, persistent storage, provisioning rapido delle VM con l’intero stack software, ecc. Sia per i pod che per le VM.
  • Utilizzo degli standard Open Source di Kubernetes: CNI (container network interface), CSI (container storage interface), CRD (custom resource definition).
  • Mantenimento della validità di moltissimi ambienti certificati su Red Hat Virtualization e OpenStack, le tecnologie di virtualizzazione tradizionali di Red Hat.

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Virtualizzazione open source: Red Hat OpenShift, come Kubernetes, più di Kubernetes ultima modifica: 2024-09-27T16:54:00+02:00 da Francesco La Trofa

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